Abilità e disabilità, vita e dimensione vocazionale sono sempre andate di pari passo nell’esperienza di Mirabilia Dei, la comunità per disabili di Inarzo (ma ci sono anche le comunità “gemelle” di Triuggio e di Bresso) che sabato 1° giugno monsignor Delpini incontrerà insieme ad altre realtà sociali nella sua visita al Decanato di Azzate. Fin da subito, infatti, l’esperienza che Lorenzo Crosta ha intrapreso insieme alla moglie Marcella e a una coppia di amici è stata quella di una vera e propria casa-famiglia, quando agli inizi degli anni Ottanta hanno ristrutturato un’ex scuderia a Malnate per ospitare alcune persone con disabilità intellettiva, senza che ci fosse una separazione tra gli spazi privati e quelli degli ospiti.
Come un convento laico
«Più che aver scelto noi questa strada, siamo stati scelti da Qualcun altro – ripensa Crosta -. Ci siamo sentiti accompagnati: all’inizio è stata la visita dei sacerdoti, di alcuni vescovi, della stessa Madre superiora del Cottolengo a darci la conferma che ciò che noi non capivamo era però chiaro a chi ci vedeva dall’esterno». Una vocazione che non si limita solo alla scelta famigliare, ma che in qualche modo abbraccia tutta la comunità, che vive un ritmo scandito da lavoro e preghiera. Tanto che, in visita nel 2022 per festeggiarne il quarantesimo anniversario, il Vicario episcopale monsignor Vegezzi concluse con una battuta: «Siete come un convento laico!».
«Anche lo stile del silenzio è nato quasi per caso, in una vacanza – ricorda Crosta -. Abbiamo adottato poi la stessa scelta nelle nostre comunità, e la cosa ha via via trovato favore». Dalle 8 alle 9 il tempo è dedicato alla preghiera, prima con un brano musicale e poi con la meditazione. Il silenzio si scioglie per iniziare la giornata lavorativa: i disabili lavorano, all’interno della cooperativa sociale che è cresciuta insieme alla casa-famiglia, nel settore elettromeccanico e nella produzione di conserve. La giornata si conclude con il Rosario, e, dopo cena, riprende il silenzio.
Sono gli ospiti a insegnare
Un ritmo e uno stile di vita esigenti, dunque. «Io sto ancora imparando», scherza Crosta, che d’altra parte evidenzia: «Sono gli stessi disabili a mostrarci che “si può vivere così”», un’esclamazione che è diventata anche il motto della comunità. Tra i tanti aneddoti, la riflessione a voce alta di uno degli ospiti, felice perché consapevole «di essere segno della provvidenza di Dio». Oppure la disponibilità di chi, ogni sera, lava i piatti per tutti.
Nel tempo, pochi tra gli ospiti hanno deciso di non continuare nella comunità (il periodo di inserimento dura dai sei mesi a un anno). D’altra parte «la dimensione della spiritualità è un denominatore comune di tutte le persone», riflette Crosta, che sottolinea anche come vivere “alla pari” con i disabili significhi anche abbandonare quella propensione a volte morbosa a voler in ogni modo proteggere una categoria di persone considerate solamente in quanto fragili. In realtà, riflette, «sono proprio gli ospiti che ci insegnano a guardarci l’un l’altro come segni della Provvidenza, e a “scartarci” come doni reciproci, scoprendo via via i pregi e i difetti di ciascuno».
Con la stessa spontaneità, certamente, si attende anche l’incontro con l’Arcivescovo. Che, rivela Crosta, «già ci conosce bene: quando viaggia, ci scrive sempre una cartolina».