Una delle costanti nei racconti di chi vive la disabilità da vicino è che la ricetta dell’integrazione abbia un ingrediente insostituibile: la normalità. Lo ribadiscono anche gli operatori del Gruppo sportivo “Bresso 4”, attivo nella comunità pastorale Madonna del Pilastrello di Bresso, che porterà la propria testimonianza al Convegno comunità cristiana e disabilità del 21 maggio (leggi qui la presentazione).
Lo sport e la parrocchia
Antonio Zambelli, membro del Consiglio direttivo, ci racconta la storia del Gruppo sportivo, nato nel lontano 1977, quando Bresso era divisa in quattro quartieri (da qui il nome “Bresso 4”): «Abbiamo cominciato come una normale società sportiva legata all’oratorio della parrocchia Madonna della Misericordia di Bresso, poi confluita nell’attuale Comunità pastorale cittadina. Circa una ventina di anni fa, sollecitati da un amico disabile impegnato in oratorio, ci siamo interrogati sul nostro modo di fare sport, rendendoci conto che doveva riflettere sempre di più il nostro essere parte di una parrocchia. Abbiamo così deciso di diventare un gruppo sportivo inclusivo, dove tutti gli atleti avessero gli stessi diritti e la stessa dignità».
Coinvolgere gli adulti
Nel concreto, spiega Zambelli, «questo ha significato partire da una esperienza di gioco condiviso con i ragazzi con disabilità, chiamata “Happy sport”, per poi arrivare alle discipline sportive vere e proprie, in primis il calcio, con la nascita all’interno della nostra società di squadre composte interamente da persone disabili. Successivamente, ci siamo fatti affascinare dallo sport integrato, cioè giocato insieme da persone con e senza disabilità. Inoltre abbiamo ampliato il nostro raggio di azione a nuovi sport come tennis, running, walking e bocce, coinvolgendo atleti giovani e adulti». Un’apertura, quest’ultima, molto importante, spiega Zambelli: «C’è forse più bisogno di attività ludiche e sportive per gli adulti che non per i ragazzi, perché con la fine del percorso scolastico diventa più difficile trovare esperienze e percorsi di inclusione».
Non si vince solo sul campo
Le squadre di calcio formate solo da disabili partecipano ai campionati Fisdir (Federazione Italiana Sport Paralimpici degli Intellettivo Relazionali) o della sezione Dcps (Divisione per l’attività per calciatori e calciatrici con disabilità cognitivo – relazionale) della Figc. Il calcio integrato invece, gioca nel campionato Csi dedicato alle squadre miste. Ma naturalmente la vittoria che queste squadre perseguono non è solo quella sul campo, come ci spiega Zambelli: «Il nostro primo esperimento di inclusione era un’esperienza di amicizia e di gioco. È a questo spirito che desideriamo ancora ispirarci, perché è quello che ti consente di vedere la persona con disabilità che ti sta accanto non come un problema, ma come un amico con cui condividere in pezzo di vita attraverso lo sport». Per questo gli allenatori, tutti rigorosamente volontari, seguono sì percorsi di formazione specifica per lavorare con ragazzi e adulti disabili, ma senza sconfinare nella eccessiva professionalizzazione. L’amicizia deve rimanere il valore fondamentale.
Ed è sempre in nome dell’amicizia che “Bresso 4” ha vissuto esperienze internazionali, come la recente partecipazione a “U.a.n sport” (Unicità, abilità, normalità), progetto europeo di sport inclusivo che ha coinvolto associazioni sportive di Lituania, Slovacchia, Germania, Grecia e Italia: «Ognuno ha portato il suo progetto – racconta Zambelli -, in una esperienze di scambio davvero interessante, che ha avuto un momento significativo nel settembre 2020 a Berlino in una grande giornata di sport e di festa».