Nella sua mente è ancora vivissima l’immagine del brillante seminarista di teologia, amabile e semplice nel tratto umano, più studioso che calciatore, dalla memoria portentosa, capace di tenere a mente e poi esporre con grande efficacia una miriade di conoscenze, facendo collegamenti, riferimenti, e passando da una disciplina all’altra con grandissima facilità. Doti eccellenti, che non hanno però mai insuperbito l’uomo, neppure quando si è trasformato in un personaggio mediatico o ha assunto incarichi prestigiosi nella Chiesa, lasciando inalterato quel tratto sempre discreto e cordiale nelle relazioni con gli altri.
Vescovi entrambi, Luigi Stucchi e Gianfranco Ravasi sono stati compagni di seminario e poi insieme ordinati preti ambrosiani nel 1966. E oggi che il secondo si appresta a vestire la porpora cardinalizia, monsignor Stucchi, vicario episcopale di Varese, non può non tornare con la memoria a quei lunghi anni trascorsi insieme e a tutte le successive occasioni di incontro di classe, due volte l’anno, in una o nell’altra parrocchia dove svolgono il loro ministero sacerdotale i compagni.
«Ricordo – confida il vescovo Luigi – che, mentre gli altri correvano in campo a tirare calci al pallone, Ravasi preferiva di gran lunga passeggiare per i portici o nei viali del seminario. Accettava sempre volentieri compagnia, chiacchierando amabilmente di qualsiasi cosa, sempre con competenza e insieme semplicità. E se veniva a conoscenza di qualche problema sapeva essere vicino alle persone con grande umanità. Non aveva nessun atteggiamento superbo, da “secchione”, pur essendo consapevole delle grandi doti intellettuali e neppure le faceva pesare agli altri. Semmai eravamo noi a riconoscergli una marcia in più e una mente prodigiosa. Per questo non mi stupisce la grande strada fatta con incarichi prestigiosi e ora sono veramente felice nel vederlo vestire la porpora cardinalizia. In fondo ce lo aspettavamo tutti, lo desideravamo, conoscendo le sue qualità e le sue doti».
C’è qualche episodio degli anni trascorsi insieme, che ricorda con particolare piacere?
Ricordo molto bene l’anno in cui abbiamo preso la maturità classica. Eravamo nel luglio 1961 e dovevamo sostenere l’esame presso il Liceo Cairoli di Varese, come classe di privatisti, perché allora il seminario non era autorizzato a rilasciare il titolo di licenza di scuola media superiore. In una delle due sessioni d’esame, ricordo il momento in cui fu chiamato a sostenere la discussione lo studente Ravasi. Non ci volle molto perché tutti i docenti e gli studenti presenti si fermassero e si mettessero in ascolto di questo allievo modello, che con la sua parlantina e con le sue brillanti capacità di analisi e di memoria, spaziava da una disciplina all’altra, intessendo collegamenti e argomentazioni che stupirono tutti i docenti del liceo varesino. Era l’ennesima riprova della sua preparazione eccellente, decisamente sopra la media. Ma, lo ripeto, lui non ostentava, non si metteva mai sopra gli altri e continuava ad essere il nostro compagno di sempre, cordiale, amabile e semplice.
Negli anni dopo il sacerdozio, avete avuto altre occasioni di incontrarvi e frequentarvi?
Noi come classe ci incontriamo due volte l’anno e abbiamo sempre il desiderio di avere con noi anche monsignor Ravasi. Purtroppo i numerosi impegni non sempre gli consentono di partecipare. Ma è stato con noi a concelebrare appena diventato vescovo, nell’ottobre 2007 e io ho avuto la gioia di essere presente all’ordinazione episcopale, imponendo le mani sul suo capo insieme agli altri vescovi. E ora sono felicissimo di poter partecipare al concistoro del 20 novembre e di essere a Roma con la delegazione ambrosiana per fargli festa.