«Mi sembra di vivere ancora il giorno della chiamata – dice don Luigi Sala, prete nella Brianza profonda – perché questo nostro Dio si incarna in Cristo e continua a farlo nelle persone». E quasi in un dialogo a distanza, monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo ausiliare e vicario per la cultura, spiega, parlando delle famiglie con bimbi disabili che gli sono vicine: «Quanto ricevo è infinitamente più di quanto ho dato».
Loro sono solo due dei “preti del ’75”, ma forse è tutta qui la sintesi più bella e il senso ultimo del dvd che racconta le storie di 14 di questi “compagni di messa”. E dalle parole si capisce quanto esperienze diverse, luoghi e realtà in cui hanno vissuto e vivono il ministero abbiano segnato la loro esistenza, non sentendosi mai arrivati al traguardo, ma sempre in gioco. «La gente ci mette addosso una veste e ci vede sempre così, ma non conosce il nostro mondo interiore, tante volte non pensa che anche il prete è un uomo, è un cristiano ed è in ricerca», riflette, allora, don Camillo Casati. E a lui, che parla da un paese in provincia di Milano sembra che faccia eco, don Tarcisio Frontini, oggi in diocesi di Fidenza. «Siamo chiamati a testimoniare, senza pretendere di esaurire con la generosità, con l’impegno, magari anche con la tensione alla santità, la vocazione che, invece, è possibile vivere solo in comune».
«Riuscire a capire come anche dentro il male, si può fare emergere un barlume di speranza significa oggi per me sperimentare con intensità il mio essere prete. Abbiamo tutti bisogno di salvezza», sottolinea, da parte sua, don Marcellino Brivio, che con il «male» tratta ogni giorno, tra le celle del carcere di Opera, di cui è cappellano.
Insomma, preti con, per e tra la gente, ogni tipo di gente, nella testimonianza attraverso una consapevolezza che per molti è maturata strada facendo. «Mi appassiona pensare che ogni prete sia custode della speranza», racconta monsignor Mario Delpini che come rettore del Seminario, attualmente vescovo ausiliare per la Zona VI, i sacerdoti li conosce bene. «Questa stessa speranza è un modo di interpretare la vita che giunge così a un compimento appagante», conclude Delpini.
La felicità, evidentemente, non è solo una parola da canzonette o per la pubblicità. «Mi sembra di vivere ancora il giorno della chiamata – dice don Luigi Sala, prete nella Brianza profonda – perché questo nostro Dio si incarna in Cristo e continua a farlo nelle persone». E quasi in un dialogo a distanza, monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo ausiliare e vicario per la cultura, spiega, parlando delle famiglie con bimbi disabili che gli sono vicine: «Quanto ricevo è infinitamente più di quanto ho dato».Loro sono solo due dei “preti del ’75”, ma forse è tutta qui la sintesi più bella e il senso ultimo del dvd che racconta le storie di 14 di questi “compagni di messa”. E dalle parole si capisce quanto esperienze diverse, luoghi e realtà in cui hanno vissuto e vivono il ministero abbiano segnato la loro esistenza, non sentendosi mai arrivati al traguardo, ma sempre in gioco. «La gente ci mette addosso una veste e ci vede sempre così, ma non conosce il nostro mondo interiore, tante volte non pensa che anche il prete è un uomo, è un cristiano ed è in ricerca», riflette, allora, don Camillo Casati. E a lui, che parla da un paese in provincia di Milano sembra che faccia eco, don Tarcisio Frontini, oggi in diocesi di Fidenza. «Siamo chiamati a testimoniare, senza pretendere di esaurire con la generosità, con l’impegno, magari anche con la tensione alla santità, la vocazione che, invece, è possibile vivere solo in comune».«Riuscire a capire come anche dentro il male, si può fare emergere un barlume di speranza significa oggi per me sperimentare con intensità il mio essere prete. Abbiamo tutti bisogno di salvezza», sottolinea, da parte sua, don Marcellino Brivio, che con il «male» tratta ogni giorno, tra le celle del carcere di Opera, di cui è cappellano.Insomma, preti con, per e tra la gente, ogni tipo di gente, nella testimonianza attraverso una consapevolezza che per molti è maturata strada facendo. «Mi appassiona pensare che ogni prete sia custode della speranza», racconta monsignor Mario Delpini che come rettore del Seminario, attualmente vescovo ausiliare per la Zona VI, i sacerdoti li conosce bene. «Questa stessa speranza è un modo di interpretare la vita che giunge così a un compimento appagante», conclude Delpini.La felicità, evidentemente, non è solo una parola da canzonette o per la pubblicità.