23/12/2008
di Giuseppe GRAMPA
Riascoltiamo l’annuncio del Natale di Gesù secondo l’antichissimo testo liturgico detto Kalenda: «Trascorsi molti secoli da quando Dio aveva creato il mondo e aveva fatto l’uomo a sua immagine; e molti secoli da quando era cessato il diluvio e l’Altissimo aveva fatto risplendere l’arcobaleno, segno di alleanza e di pace. Ventuno secoli dopo la nascita di Abramo, nostro padre; tredici secoli dopo l’uscita di Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè; mille anni dopo l’unzione di Davide quale re di Israele; nella sessantacinquesima settimana, secondo la profezia di Daniele. All’epoca della centonovantaquattresima olimpiade; nell’anno 752 dalla fondazione di Roma; nel quarantaduesimo anno dell’Impero di Cesare Ottaviano Augusto, mentre su tutta la terra regnava la pace, nella sesta età del mondo, Gesù Cristo, Dio eterno e figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua venuta, essendo stato concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria. Dio fatto uomo. Oggi è il giorno della nascita di nostro Signore Gesù Cristo secondo la natura umana».
Non c’è da stupirsi se a commento di questo annuncio vi propongo le parole di un filosofo contemporaneo, Jean-Paul Sartre, tratte dal suo Racconto di Natale per cristiani e non credenti. Scritto nel campo di prigionia di Treviri, dove Sartre era stato internato dai tedeschi a seguito dell’occupazione della Francia, si tratta di un lavoro teatrale – messo in scena dagli stessi prigionieri nel Natale del 1940 – che rispecchia un sofferto sentimento cristiano, tanto più singolare in un uomo che non rinnegò mai il suo ateismo.
Eccone un brano colmo dello stupore del Natale: «Un Dio trasformarsi in uomo! Che racconto da balia! Non vedo ciò che potrebbe tentarlo nella nostra condizione umana. Gli Dei stanno in cielo tutti occupati a gioire di se stessi. E se capitasse loro di scendere tra noi, sarebbe sotto qualche forma brillante e fugace, come una nube purpurea o un lampo. Un Dio si trasformerebbe in uomo? L’onnipotente in mezzo alla sua gloria, contemplerebbe quei pidocchi che brulicano sulla vecchia crosta della terra e la sporcano con i loro escrementi e direbbe: voglio essere uno di quei parassiti? Lasciatemi ridere. Un Dio assoggettarsi a nascere, a rimanere nove mesi come una fragola di sangue? Arriveranno i pastori alle prime ore della notte poiché le donne che sono con loro ritarderanno il loro cammino… Ebbene che vadano dunque a ridere e a gridare sotto le stelle e a svegliare Betlemme addormentata. Le baionette romane non tarderanno a picchiare loro le natiche e a raffreddare il loro sangue… Se un Dio si fosse fatto uomo, per me, gli vorrei bene a esclusione di tutti gli altri, e ci sarebbe come un legame di sangue tra lui e me e non avrei abbastanza della mia vita per provargli la mia riconoscenza. Ma quale Dio sarebbe abbastanza folle per ciò? Non il nostro certamente, si è sempre mostrato piuttosto distaccato… Un Dio-Uomo, un Dio fatto della nostra umile carne, un Dio che accetterebbe di conoscere quel gusto di sale che c’è in fondo alle nostre bocche quando il mondo intero ci abbandona, un Dio che accetterebbe in anticipo di soffrire ciò che soffro oggi… Andiamo, è una follia».
Eppure il presepe racconta questa follia. Niente è tanto umano quanto il presepe. Sa di muschio, di fieno e ha l’odore forte delle pecore. I personaggi del presepe sono uomini e donne della vita di tutti i giorni. A Napoli, nel presepe, mettono le statuine dei personaggi di cui si parla, convocando tutti, ma proprio tutti, alla capanna.
E niente è tanto divino quanto il presepe. Il cielo è percorso da angeli che cantano e annunciano pace per tutti gli uomini che Dio ama. Il neonato, avvolto in fasce come si usava, attaccato al seno della giovane Madre, è Dio e assomiglia a questa donna: ha i suoi occhi, la forma della sua bocca: è Dio e assomiglia a questa donna.
«Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive»: senza saperlo, l’ateo Sartre ha ripreso parole di antichi scrittori cristiani, che raccontano il Natale come il rimpicciolirsi di Dio, come il farsi breve di quella parola che ha creato tutte le cose.
Il presepe è quanto di più semplice si possa immaginare e per questo i bambini ne sono incantati. Come il presepe, così il mistero del Natale è semplice: nella capanna di Betlemme non è difficile entrare: basta chinarsi un poco.