06/09/2008
di Luisa BOVE
«Oggi la famiglia mostra elementi di crisi e difficoltà, ma anche di ricchezza e risorsa», dice Rosa Rosnati, docente di Psicologia sociale presso l’Università Cattolica di Milano e impegnata al “Centro di Ateneo studi e ricerche sulla famiglia” di largo Gemelli. Di fronte alla diminuzione dei matrimoni e all’aumento delle famiglie con figlio unico, all’incremento delle unioni libere e al calo della natalità «verrebbe da dire che la famiglia è in crisi», ammette la psicologa. «Eppure come sottolinea l’Arcivescovo, la famiglia è il primo valore, fonte di riferimento, luogo in cui ci si rifugia». La famiglia quindi, pur essendo «poco supportata», non solo mantiene la sua «importanza», rivela anche possibilità di «novità e sviluppo».
A dimostrarlo è anche una recente ricerca condotta dall’Università Cattolica sulle “comunità familiari”, oggi sempre più diffuse. Si tratta generalmente di famiglie che, vivendo vicine, condividono alcuni spazi e momenti di vita comune e spesso si aprono all’accoglienza di minori in affido o di adulti in situazioni di difficoltà. «Le “comunità familiari” – spiega Rosnati -, mostrano una generatività che va oltre la dimensione puramente biologica e che si estende ad esempio all’accoglienza di minori». Quella di oggi quindi è una famiglia che mostra elementi di crisi e difficoltà, ma anche di ricchezza e risorsa, capace di superare i confini strettamente familiari e di aprirsi con generosità.
Quali sono oggi le difficoltà educative dei genitori?
Oggi c’è un grande controllo sulle nascite: il figlio viene scelto, programmato, generalmente si decide in quale momento della propria esistenza averlo… Spesso però in una famiglia ci sono pochi bambini e questo porta a un sovrainvestimento nella relazione genitori e figli. Tale investimento può essere letto sotto due aspetti: da una parte c’è una grandissima attenzione ai bambini, dall’altra il suo eccesso. In termini tecnici si parla di “puerocentrismo narcisistico” per cui i genitori mettono al centro il bambino e lo investono di proprie aspettative. La giornata dei figli è scandita in ogni dettaglio: tennis, ginnastica, inglese, possibilmente a tre anni perché poi è troppo tardi… C’è una richiesta spesso esasperata e i bambini sono “sballottati” da una parte all’altra. Anche l’investimento sulla scuola è elevatissimo. Sono tutte cose giuste, ma è l’eccesso che non va bene. Questa organizzazione concreta dei bambini rispecchia le aspettative dei genitori; a volte mi domando quanto siano bisogni reali dei figli e quanto indotti dagli adulti.
C’è un motivo che spiega questo comportamento?
I genitori sembrano voler attrezzare i loro figli per la vita futura, che assomiglia a una giungla. Il contesto sociale infatti è percepito in termini molto negativi, come minaccia alla famiglia, e questo è il dato culturale nel quale siamo immersi. I figli quindi devono essere attrezzati per difendersi, per “combattere” in un mondo adulto poco ospitale e pericoloso. E così l’educazione non è più un “e-ducere”, cioè tirare fuori quelle che sono le potenzialità, le competenze, le attitudini dei figli, ma un “se-ducere”, cioè portare a sé, verso le proprie aspettative e i propri bisogni nei confronti dei figli. Ciò che viene a mancare è la giusta distanza nell’educazione e nel rapporto con i figli, quella distanza che permette di considerarli come altro da sé, non a propria immagine. Riconoscere la diversità dei figli consente di educarli e guidarli, a volte invece i genitori li orientano secondo le proprie aspettative.
L’eccessiva attenzione ai figli rischia di mettere in crisi anche il rapporto di coppia?
L’equilibrio tra relazione di coppia e relazione genitoriale è difficilissimo. Estremizzando si può dire che oggi il figlio sta diventando il fondamento della famiglia, mentre dovrebbe essere la coppia a fondarla. C’è una bellissima espressione di Daniel Marcelli che parla del “bambino sovrano”: l’immagine che circola oggi è quella di un bambino che governa la famiglia, che la istituisce, invece sappiamo che la famiglia si regge su una relazione di coppia. Bisogna quindi aiutare i genitori a ritrovare il giusto equilibrio, soprattutto i primi anni, dopo la transizione alla genitorialità.
Ma come?
Quando i bambini sono piccoli c’è un sovrainvestimento nella relazione col figlio che porta a ridurre necessariamente lo spazio e il tempo riservato alla coppia. Questa diminuzione deve rimanere legata a una fase della vita, anche se alcuni spazi – non solo materiali ma anche affettivi – vanno comunque salvaguardati. È emblematico per esempio il numero di bambini che dormono nel lettone dei genitori: questo dice molto sull’invasione del figlio nello spazio della coppia. Occorre quindi aiutare le famiglie a ritrovare un equilibrio dinamico, che non può essere uguale per tutti. Durante gli incontri con i genitori sento spesso di coppie che non vanno più al cinema, non escono, non hanno più una vita loro. Il rischio è che la relazione di coppia collassi in quella genitoriale, mentre le due relazioni sono interdipendenti ma tra loro distinte.
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