05/03/2008
di Stefano FONTANA
La terza enciclica di Benedetto XVI dopo la Deus caritas est e la Spe salvi sarà un’enciclica sociale. Lo ha anticipato il cardinale Bertone al ritorno da Cuba. Con ogni probabilità la nuova enciclica commemorerà la Populorum progressio a quarant’anni dalla sua pubblicazione da parte di Paolo VI nel marzo 1967. Quarant’anni durante i quali il quadro mondiale è completamente cambiato: la decolonizzazione non è avvenuta come da speranze, la globalizzazione ci porta il mondo in casa ma non sempre ci rende più solidali, il terrorismo ha destabilizzato i rapporti internazionali, nuovi giganti economici si affacciano all’orizzonte, le risorse energetiche pongono seri problemi, nascono nuovi blocchi dopo la fine della guerra fredda e ci si riarma, l’ingegneria genetica ci fa mettere le mani sull’uomo e la sua identità.
Benedetto XVI ha espresso una profonda sensibilità per la “questione sociale” contrariamente a quanto pensavano in molti all’inizio del suo pontificato. La Deus caritas est contiene al suo interno quanto il cardinale Martino ha definito una “piccola enciclica sociale”. La Spe salvi non si occupa direttamente di problemi sociali, ma mostra come solo la speranza cristiana sia in grado di fondare la giustizia e la libertà perché “un mondo senza Dio è un mondo senza speranza” e in un mondo senza speranza la ragione non riesce a guidare la volontà e in una società in cui gli uomini pensano di farsi giustizia da sé il perseguimento della stessa giustizia è già compromesso in partenza.
Una profonda sensibilità sociale, quella di Benedetto XVI, con delle caratteristiche molto particolari, che abbiamo imparato ad amare. Prima di tutto la propensione a ricondurre le questioni sociali ai loro snodi fondamentali. Nella Spe salvi si parla di “Dio nel mondo”, a Verona si era posto il problema del “diritto di cittadinanza” pubblica della fede cristiana, ad Aparecida è stato detto che senza Dio non si può nemmeno comprendere la realtà sociale, a Regensburg che senza Dio “i conti non tornano” e parlando alla Curia romana nel dicembre scorso il Papa ha detto che senza Dio nessun vero “bilancio” sociale è possibile. La verità del cristianesimo non può non avere anche ripercussioni sociali. Il cristianesimo ha la pretesa di non essere solo utile ma indispensabile. Da qui una nuova consapevolezza dell’identità pubblica della propria fede da parte dei cristiani e la concezione della laicità come apertura al ruolo pubblico della religione “dal volto umano”.
Accanto alla preoccupazione per i fondamenti stessi della presenza pubblica del cristianesimo, il magistero sociale di Benedetto XVI si è fin qui caratterizzato anche per il suo realismo. Nell’ultimo Messaggio della pace ha detto che il problema energetico dipende anche dai Paesi emergenti e dalla loro aggressività e che il sottosviluppo di alcune nazioni è anche dovuto a ritardi culturali e a responsabilità locali. Questo realismo è diretta conseguenza del tema della “verità” che libera dalle ideologie e ci fa vedere l’uomo concreto e la concreta dinamica delle relazioni sociali.
Se è lecito fare delle ipotesi sulla nuova enciclica a partire dall’insegnamento sociale di Benedetto XVI in questi primi tre anni di pontificato, verrebbe da pensare che egli ricondurrà lo sviluppo umano alle sue fondamenta stesse, ossia alla verità e all’amore, perché il Dio cristiano, egli ci insegna continuamente, è Verità e Amore. Anche il tema dello sviluppo ha bisogno di allargare la ragione e allargare la speranza ed è per questo che il più grande fattore di sviluppo è il Vangelo mentre il più grande freno allo sviluppo è la disperazione del nichilismo.
Ma c’è anche un altro tema particolarmente caro a Benedetto XVI che presumibilmente non mancherà di essere sviluppato nell’enciclica. Con l’inseminazione artificiale extracorporea, egli ha detto, abbiamo sfondato la soglia della legge morale naturale: se l’uomo è un prodotto tutta la vita umana e sociale è un prodotto. Nessun dono da accogliere, nessun disegno da sviluppare, solo un progetto tecnico da attuare. Èla “questione antropologica”, che oggi getta una luce tetra non solo sui settori specifici della bioetica, ma in tutte le questioni sociali, sviluppo compreso, perché senza i 10 comandamenti, la società non può sussistere e una società avanzata che adopera la diagnosi reimpianto per selezionare gli embrioni e la diagnosi prenatale per selezionare i feti non può esprimere nessuna vera solidarietà per lo sviluppo globale.