di Giorgio Basadonna
E’ molto bella e molto esplicita la definizione che Giovanni dà di Gesù, ora che comincia a visitare la sua terra, incontrare persone e predicare nelle sinagoghe e nel tempio, e fare gesti strepitosi guarendo malati e perdonando i peccatori. Forse c’è un po’ di smarrimento perché il suo modo di parlare non è come quello “degli scribi e farisei” e spesso usa anche frasi forti che disturbano la coscienza delle masse. Perciò è opportuno il modo usato da Giovanni per presentare il nuovo maestro che genera entusiasmo in alcuni e perplessità o rifiuto in altri.
Gesù è “l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato dal mondo”. E’ una presentazione che se ritrova accenni e attese in tutta la storia del popolo eletto, genera una curiosità che esige spiegazioni per non portare a confusioni e interpretazioni esagerate o del tutto false. Diventa necessaria una nuova e più approfondita conoscenza di questa persona che sta suscitando speranze e delusioni: Giovanni ha una sua esperienza diretta, perchè quando era sulle rive del fiume Giordano è stato testimonio di avvenimenti straordinari, e ora vuole aiutare i suoi contemporanei a non chiudersi nelle piccole e povere strettezze del proprio pensiero in una interpretazione semplicistica degli insegnamenti tradizionali.
L’immagine usata da Giovanni per indicare la realtà di questo rabbi così cercato e seguito e al tempo stesso così odiato e rifiutato tanto da finire inchiodato sulla croce, fa risuonare all’orecchio di chi l’ascolta quanto già i profeti avevano indicato disegnando la figura del “servo di Javè” come “l’agnello condotto al macello” perché si è “caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori” e Dio gli darà “in premio le moltitudini, perché portava il peccato di molti”. Non è facile interpretare il compito e la natura di questo Gesù così contraddetto, vero “segno di contraddizione” come già l’aveva definito il vecchio Simeone incontrandolo al Tempio nei suoi primi giorni di vita. E’ certo comunque che non si possono usare i soliti termini e i soliti paragoni, non si può misurare la grandezza e l’importanza di Gesù rimanendo nell’esperienza quotidiana che contrappone persone e situazioni misurandole sulla efficacia del momento.
Giovanni insiste ricordando quanto lui stesso aveva potuto vedere e sentire, al fiume Giordano quando Gesù era venuto mescolandosi nella folla che chiedeva il battesimo. Ha visto lo Spirito scendere su di lui come una colomba dal cielo, e ha avuto la conferma di quanto gli era stato promesso, e può e deve testimoniare che “questi è il figlio di Dio”. Come sempre, l’adesione alla fede, l’accettazione di un rapporto totale con Dio avviene in un contesto che mentre offre garanzie di certezza non può nascondere tutta la condizione di mistero propria di Dio e quindi l’impossibilità di una di una conoscenza garantita soltanto dalla esperienza e da una ricerca razionale.
Ce n’è abbastanza per iniziare il cammino cristiano con molta umiltà nel riconoscere l’urgenza di un animo aperto e disposto a una conoscenza sempre nuova, e al tempo sesso godere del dono di Dio che vuole elevare la sua creatura a specchiarsi con lui e ritrovare ogni volta nuove grandezze sulle quali scoprire il senso della propria vita. Il Natale di Gesù non è solo un commovente sguardo sul bambino di Betlemme, ma l’inizio di una scoperta mai finita, di un’avventura non facile ma sempre affascinante di un rapporto personale con Dio fuori da schemi chiusi sulle nostre misure. L’esperienza della fede è l’esperienza di un cammino che conosce strade sicure e luminose e passaggi bui guidati dalla iniziativa di Dio non sempre intonata con le nostre aspettative: per questo, è una scelta difficile sempre però sorgente di illuminazioni affascinanti.