14/11/2008
di Silvio MENGOTTO
«Dio che sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi». È un passo della preghiera “Il Ribelle” scritta da Teresio Olivelli e Carlo Bianchi, che è stata letta da un gruppo di 18-19enni dell’Azione Cattolica ambrosiana accompagnati da don Luca Ciotti nella cattedrale di Carpi al termine della loro due giorni (1 e 2 novembre) all’insegna di “Liberi e intensi”: visita al Museo del deportato a Carpi, poi al campo di Fossoli che tra il 1943 e l’estate 1944, oltre a trasformarsi in campo di transito per gli ebrei destinati ai lager nazisti, divenne anche luogo di internamento per gli oppositori al nazi-fascismo.
Nel giorno di tutti i Santi sono stati ricordati i deportati ebrei e alcune figure milanesi come Carlo Bianchi e Antonio Manzi, arrestati e fucilati il 12 luglio 1944 al poligono di tiro di Cibeno insieme ad altri 65 ribelli per amore della libertà. Bianchi, presidente della Fuci milanese, con l’approvazione del cardinale Schuster fondò il “Segretariato del popolo” (Carità dell’Arcivescovo, ancora oggi esistente) formata da un centro legale e medico per sopperire alle necessità dei poveri provati dalla guerra.
Durante la messa celebrata in una baracca al campo è stata presentata la figura di Bianchi, che ha colpito i ragazzi: Luca Bartoletti, perché «era ingegnere come lo sono io, milanese nella Fuci, l’ho sentito vicino proprio per la sua professionalità. Figura che ho imparato a conoscere grazie a questa esperienza»; per Lara, Bianchi aveva «una famiglia, bambini che amava moltissimo, come si legge dalle sue lettere. Sapendo che la sua scelta era rischiosissima non si è fermato, non si è spaventato, convinto nella sua fede di portare avanti una cosa giusta, ha continuato il cammino, non ha dubitato sulla sua scelta».
Quale può essere il legame di una storia di 60 anni fa con i giovani di oggi? Lara Colnago, educatrice nel gruppo giovani, crede che «il filo conduttore sia la scelta. Al campo di Fossoli, le persone arrestate si sono assunte responsabilità quale conseguenza di una scelta vissuta sino alle estreme conseguenze».
Il male incrocia la strada dell’indifferenza. La giovane studentessa Marta Zambon ricorda una delle prime frasi lette al Museo del deportato che dice: «Non guardare il cielo, ma ciò che sta vicino a te». Non bisogna essere tiepidi, continua Marta, «ma avere orecchie aperte all’ascolto, guardare, entrare in azione nel momento del bisogno come ha fatto Odoardo Focherini, dirigente dell’Ac carpigiana, detenuto a Fossoli perché aveva salvato la vita a oltre cento ebrei accompagnati in Svizzera».
Don Luca indica tre caratteristiche della santità: la prima è un cammino dei discepoli. Persone normali chiamate alla condivisione del progetto d’amore di Dio. La seconda è la “follia” di Dio, come la chiamata di san Paolo. Terzo, il santo riconosce uno sguardo d’amore su di lui.
Camminando tra le baracche fatiscenti si leggono brani del diario di un detenuto che scrive la vita nel campo. Brani, precisa don Luca, che «scritti in quel contesto fanno comprendere un po’ di più cosa significa vivere con fede il tempo del dolore e della sofferenza». Se si aiutano i ragazzi a «mettersi in alcuni contesti riescono meglio a cogliere il significato profondo di quel contesto». C’è la proposta di realizzare una Via Crucis al campo di Fossoli e come testo utilizzare le lettere e i diari scritti dai detenuti.