09/12/2008
di Luisa BOVE
Tutte le analisi e i rapporti confermano che oggi la città ha due volti. Anche l’Arcivescovo nel Percorso pastorale di quest’anno, da una parte parla dei «grandi segni della presenza di Dio» e dall’altra riconosce le «tante sofferenze» che affliggono le persone. In una parola, possiamo affermare che nella metropoli convivono due atteggiamenti: prossimità e anonimato. «Non c’è dubbio che anche Milano – dice Eugenio Zucchetti, docente presso la Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica milanese e curatore del “Rapporto sulla città” realizzato da Ambrosianeum -, rivela importanti esempi di prossimità. Penso a quelle capacità a corto raggio che sono i rapporti tra le generazioni: adulti, genitori e nonni che, nonostante le difficoltà sempre crescenti, riescono a sostenere le giovani coppie che faticano a organizzarsi nella vita familiare».
Le prossimità a lungo raggio invece sono quelle «del mondo del volontariato, del no profit, di cui Milano è ricca», dice il sociologo. Ma esistono anche «relazioni nuove che nascono per necessità o per scelta, con parenti che si mettono insieme e danno vita a nuove forme di mutuo aiuto e sostegno».
«Dall’altra parte c’è invece la città della solitudine. Penso per esempio alle giovani coppie che non hanno parenti o reti relazionali, vivono un sovraccarico di compiti e non ricevono alcun aiuto. Per non parlare di situazioni ancora più gravi, come quelle degli anziani soli».
Anche in un contesto come questo, dice l’Arcivescovo, le famiglie cristiane (ma non solo), sono chiamate a «rendere la città più umana e più vivibile».
Non è scontato che le famiglie cristiane siano capaci di esprimere questa soggettività sociale. Intanto perché anche loro risentono di quel ripiegamento nel privato e di quel consumismo tipico della cultura e della società contemporanea. Ma oltre a questo, le famiglie cristiane come tutte le famiglie “normali” che vivono a Milano (non quelle in difficoltà o che si separano) sono sotto stress, sovraccaricate di compiti, impegni e doveri. Non vorrei che l’eccessiva enfasi sulla famiglia nella comunità cristiana finisca, paradossalmente, per ritorcersi contro di stessa. Nessuno nega la sua importanza, ma abbiamo anche bisogno di “esternizzare” i compiti di cura, offrendo servizi reali, altrimenti la famiglia normale non ce la fa più. Se per esempio lavorano tutti e due e magari hanno anche in casa un anziano sempre meno autosufficiente, cosa fanno?
La famiglia, dice il cardinal Tettamanzi, ha il compito di «custodire il quartiere», di «dare un’anima alle periferie». Ma come?
La famiglia cristiana potrà svolgere questi ruoli se ritrova la sua autenticità e radicalità evangelica, cioè il senso vero delle cose e della vita. Questa è la prima condizione, altrimenti non ha molto da dire. Ci avviciniamo al Natale: se le famiglie cristiane non esprimono una diversità di stile nei rapporti con la vita e con le cose, pensiamo alla sobrietà rilanciata recentemente dal Cardinale, difficilmente riusciranno a essere anima della città. Le famiglie cristiane possono animare il quartiere a partire dai luoghi della quotidianità: condominio, scuola dei figli, asilo dei bambini… Ma possono contribuire a ritessere il tessuto sociale anche attraverso le iniziative della comunità parrocchiale.
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