di Gianni BORSA ed Enrica LATTANZI Agensir da Strasburgo
Ursula von der Leyen supera l’esame dell’Europarlamento e succede a se stessa alla presidenza della Commissione europea. L’emiciclo di Strasburgo, dopo aver ascoltato nella mattinata del 18 luglio il discorso programmatico della politica tedesca, e averne animatamente dibattuto le proposte, le consegna nuovamente il timone dell’Esecutivo con 401 voti a favore, 284 contrari, 15 astenuti, 7 le schede nulle (707 votanti su 719 eurodeputati in carica).
«Il lavoro che ci aspetta»
Sulla carta von der Leyen poteva contare su 454 voti, espressione dei gruppi che si erano detti a suo favore: Popolari, Socialdemocratici, Liberali di Renew e Verdi. I franchi tiratori non sono mancati, ma di fatto si conferma una maggioranza europeista, che smentisce i megafoni delle varie destre – conservatrici, sovraniste, anti Ue e pro Putin – che procedono a ranghi sparsi, divise tra loro e per questo incapaci di creare una forza e un progetto alternativo all’Unione europea. Nella conferenza stampa seguita all’annuncio della riconferma di Ursula von der Leyen, Roberta Metsola, presidente dell’Europarlamento, ha parlato di un «voto chiaro, un’espressione di fiducia nei confronti di una leadership forte».
Prendendo la parola, Ursula Von der Leyen ha sottolineato il fatto di aver ricevuto 41 voti in più rispetto alla maggioranza necessaria alla sua rielezione. Tre le sottolineature: la «gratitudine per la fiducia accordata e il riconoscimento per il lavoro di questi 5 anni; l’esperienza positiva della campagna elettorale che mi ha portato a confrontarmi con una pluralità di voci europee; infine il lavoro che ci aspetta, a partire dalla richiesta, ai diversi capi di governo, di indicare i propri candidati (un uomo e una donna) alla carica di commissario europeo».
Le scelte, il destino
Von der Leyen si è presentata nell’aula dell’Eurocamera con un lungo e articolato discorso, interrotto da numerosi applausi e da qualche protesta dai banchi dell’estrema destra. Al discorso programmatico si affianca un documento di trenta pagine con le linee guida della prossima Commissione per il periodo 2024-2029.
La presidente in pectore ha ricordato i «5 anni senza precedenti» affrontati nel suo primo mandato (Covid, Next Generation Eu, Green Deal, guerra in Ucraina). Ha quindi sottolineato «le ultime parole di David Sassoli che aveva fatto appello per una Europa nuova e unita». Von der Leyen ha poi dichiarato: «Le scelte definiscono il destino, e in un mondo pieno di avversità il destino dipende da ciò che faremo ora. L’Europa si trova di fronte a una scelta decisiva che definirà la nostra posizione nel mondo nel prossimo quinquennio». L’Europa «non può controllare dittatori e demagoghi nel mondo, ma può scegliere di tutelare la nostra democrazia».
Economia, Ucraina, Gaza
Un discorso, quello della candidata, senza particolari slanci, piuttosto rivendicativo di qualche risultato raggiunto e vago nella concretezza. Pieno però di obiettivi dichiarati. Von der Leyen ha elencato una serie di priorità programmatiche: prosperità economica, sostegno all’agricoltura, Green Deal, tutela della democrazia, sicurezza e difesa, politica estera (Ucraina, Medio Oriente), allargamento, pilastro dei diritti sociali, opportunità per i giovani. Ha promesso l’istituzione di un commissario con delega «all’equità generazionale», uno alla casa, uno per la regione mediterranea. «La nostra Europa mantiene la rotta sul Green Deal con pragmatismo, neutralità tecnologia e innovazione». Sul fronte energetico: «L’Unione europea deve assicurarsi che l’era della dipendenza dai combustibili fossili russi sia finita una volta per sempre».
Sulla difesa: «Dobbiamo investire di più e insieme. Serve uno scudo aereo non solo per proteggere il nostro spazio aereo, ma anche come simbolo forte dell’unità dell’Ue in materia di difesa». Dopo aver ribadito pieno e continuo sostegno all’Ucraina, anche in campo militare, sul Medio Oriente ha osservato: «Lo spargimento di sangue a Gaza deve fermarsi ora. Troppi bambini, donne e civili hanno perso la vita nella riposta di Israele al terrore di Hamas. La gente a Gaza non ce la fa più». Ha quindi chiesto un cessate il fuoco immediato, la liberazione degli ostaggi per «prepararci per il giorno dopo» il conflitto.
I silenzi
Alle molte promesse, necessarie per tenere insieme quattro gruppi politici e non allarmare i capi di Stato e di governo che l’avevano indicata nel summit di fine giugno, von der Leyen ha affiancato una serie di silenzi.
Nessun vero riferimento alla pace e all’impegno diplomatico per riportare la pace in Europa; silenzio sul quadro internazionale, costellato di conflitti, segnato dalle migrazioni, minacciato dalla concorrenza cinese, interrogato da una eventuale vittoria di Trump alle presidenziali Usa. Nessun riferimento al bilancio Ue, troppo misero per dar corso a tutti i progetti sciorinati…
Orban e Putin
«Un presidente di un governo europeo si è recato a Mosca per incontrare Putin in una cosiddetta missione di pace»: così si è espressa Ursula von der Leyen durante il suo intervento, facendo riferimento all’iniziativa di Viktor Orban (pur senza nominare il premier ungherese), già sconfessata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. «Quella era tutto tranne che una missione di pace. Era una missione di appeasement», ha specificato. Poi ha ripreso: «Due giorni dopo i jet di Putin hanno colpito un ospedale pediatrico».
Nel discorso la presidente designata ha richiamato i rischi per la democrazia: «Per molto tempo abbiamo dato la democrazia per scontata, ma ora è minacciata. I giornalisti – che ringrazio per il loro lavoro – stanno scoprendo spionaggio e disinformazione da parte di attori cinesi e russi. Dobbiamo fermare questi attori stranieri che interferiscono e minacciano la nostra democrazia. Se mi darete fiducia creeremo uno scudo per la democrazia europea».
Riforme ambiziose
«Abbiamo bisogno di un’agenda di riforme ambiziose per garantire il corretto funzionamento di una Ue più grande, per affrontare le sfide geopolitiche e migliorare la legittimità democratica, in particolare attraverso la partecipazione dei cittadini». Von der Leyen ha aggiunto: «È necessario modificare i trattati laddove utile per migliorare la nostra Unione». Ma, ha trascurato di dire che di riforma dei Trattati, auspicata anche dall’Europarlamento, nessun capo di Stato e di governo vuol sentire parlare.
Una ampia parte dell’intervento ha riguardato la competitività economica (innovazione, Green Deal, autonomia energetica, aiuti alle piccole e medie imprese, investimenti, formazione e competenze, opportunità occupazionali per i giovani). Dopo l’affondo su sicurezza, difesa e armamenti, ha fatto cenno alla lotta alla criminalità, alle minacce cibernetiche, al narcotraffico. Sulle migrazioni Ursula von der Leyen ha detto quasi nulla, se non ribadire il controllo delle frontiere, la lotta alla tratta di esseri umani, per poi sostenere la bontà del nuovo Patto per la migrazione e l’asilo («la solidarietà è stata messa al centro della nostra risposta»).
Il «pilastro sociale»
Ha quindi sottolineato l’impegno per l’allargamento a Balcani, Ucraina, Moldova e Georgia. «È una enorme responsabilità geostrategica. Un’Europa più grande sarà un’Europa più forte».
Finalmente un passaggio del discorso si è concentrato sul «pilastro sociale», con accenni su tutela dei consumatori, condizioni di lavoro e contrattazione collettiva, crisi degli alloggi, difesa dell’infanzia, iniziative per i giovani (fra cui l’Erasmus), annunciando «una inchiesta Ue sull’impatto dei social sulle nuove generazioni». Qualche parola poi sulla lotta alla violenza contro le donne e la parità di genere, la conciliazione tra vita familiare e professionale.
Dopo l’intervento della von der Leyen, il microfono è toccato ai capigruppo, quindi una breve replica della presidente in pectore («uniti nella diversità e nelle avversità»), e a seguire decine di interventi degli eurodeputati, con il sostegno dei gruppi europeisti e attacchi dalle destre sovraniste e dalla sinistra.
Cosa succede ora?
La presidente eletta della Commissione invierà ora delle lettere ufficiali ai capi di Stato o di governo degli Stati membri invitandoli a presentare i loro candidati per i posti di commissario europeo. Il Parlamento organizzerà dopo l’estate una serie di audizioni pubbliche dei candidati nelle commissioni competenti. L’intero collegio dei commissari dovrà poi essere approvato dal Parlamento.