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Sirio 18 - 24 novembre 2024
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«Il Segno»

Volontari ospedalieri: a servizio del paziente

Nel Milanese molte associazioni hanno sede in case di cura o di riposo: il personale, dopo un rigoroso iter formativo affiancato da “tutor”, offre ai ricoverati tempo, ascolto e molta umanità. Uno stralcio dell’inchiesta pubblicata sul numero di settembre del mensile diocesano

28 Settembre 2024

da Il Segno di settembre

Secondo il rapporto del Ministero della Salute, in Italia, ogni anno, si attivano oltre sette milioni di ricoveri ospedalieri, con una degenza media di sette giorni, per i casi acuti, e di ventisette per i percorsi di riabilitazione. Il ricovero è un’esperienza scomoda, che pone il paziente in una realtà sconosciuta a fare i conti con preoccupazioni che vanno oltre la patologia: il senso di disorientamento in un ambiente estraneo, la confusione nei rapporti con gli operatori sanitari, la convivenza con altre persone malate. Accanto al bisogno di salute, si pongono anche altre esigenze: essere ascoltati, essere rassicurati e poter condividere il proprio stato emotivo. È da questi bisogni che nasce la figura del volontario ospedaliero. 

In Lombardia, e nel Milanese in particolare, alcune organizzazioni che si prendono cura dei malati, degli anziani e delle loro primarie necessità, hanno scelto di trasferirsi direttamente presso gli ospedali e le case di riposo, gestendo sul campo le proprie attività. Tra le corsie, nei reparti di degenza e nelle sale d’attesa, i volontari si muovono con garbo e discrezione, cercando fondi per l’acquisto di presidi sanitari per chi non può permetterseli, facendo da mediatori tra gli anziani e gli sportellisti o, semplicemente, offrendo quanto di più prezioso si possa donare al giorno d’oggi: il tempo. Essere volontari, però, non è semplice e non è alla portata di tutti. Queste figure, infatti, si impegnano in programmi rigorosi di formazione, vengono monitorati e affiancati da tutor e psicologi, sostengono periodi di supervisione e analisi durante il loro percorso.

Il Segno di settembre approfondisce la figura e il ruolo dei volontari attraverso le testimonianze, tra le altre, dell’Unione samaritana – che opera presso l’Ospedale Niguarda di Milano e in diverse strutture di ricovero e case di riposo del Milanese -, di Vozza Ets – presso gli Ospedali Fatebenefratelli-Oftalmico e presso il Macedonio Melloni di Milano -, di Avo, Associazione volontari ospedalieri, presente in oltre settecento ospedali italiani, dell’Associazione Maria Immacolata – presso il Pio Albergo Trivulzio, l’Ospedale San Raffaele e l’Istituto Redaelli.

«Attualmente i volontari sono in prevalenza giovani pensionati», dice Carlo Cereda, vicepresidente dell’Unione samaritana. «Qualche anno prima del Covid stavamo raggiungendo la quota di mille volontari, mentre oggi siamo meno della metà».

«Dopo un primo colloquio conoscitivo, il nuovo volontario viene affiancato da un tutor per l’inserimento nel gruppo, in base alla struttura in cui dovrà svolgere il suo servizio – spiega Cereda -. Viene quindi intrapreso un percorso formativo per apprendere il “sapere”, con una preparazione specifica che lo indirizza ai valori di centralità della persona, di solidarietà e di condivisione. Il volontario impara a saper “fare”, ovvero ascoltare chi chiede aiuto e a saper “essere”, ovvero sapersi comportare, per far sì che la relazione con l’altro maturi. È fondamentale capire la grande responsabilità che abbiamo nel soccorrere concretamente chi si trova in difficoltà: la nostra primaria responsabilità è ascoltare senza mai tradire la fiducia dell’ospite. Questo vuol dire non giudicare, non divulgare le confidenze che l’ospite esprime con la massima discrezione, essere presenti sempre e muoversi in punta di piedi».

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