«Mio nonno non va ricordato come un eroe irraggiungibile, ma come un testimone che ci richiama a fare la nostra parte e ci rende migliori. È questo il senso della memoria delle vittime del terrorismo». Lo dice Vittorio Bachelet, il nipote che porta lo stesso nome del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura ucciso dalle Brigate Rosse quarant’anni fa, il 12 febbraio 1980.
Vittorio ha 35 anni e come il nonno è un ricercatore universitario nel campo del diritto. Pur non avendo conosciuto direttamente il nonno, sul settimanale Credere in edicola da giovedì 6 febbraio, condivide i ricordi familiari che gli hanno trasmesso la nonna Miesi, il papà Giovanni e la zia Maria Grazia e riflette sull’importanza di tenere alta il ricordo delle vittime perché non si ripeta la follia ideologica che animava il terrorismo degli «anni di piombo». E l’antidoto all’odio, secondo il giovane giurista, consiste proprio negli insegnamenti lasciati dal nonno: «Amare il tempo in cui viviamo, agire con spirito di servizio, attenzione al prossimo, passione per quello che si fa».
Vittorio Bachelet è stato un uomo cresciuto alla scuola del Vangelo e della Costituzione, testimone di una vita spesa per la Chiesa e per lo Stato. Oltre all’importante incarico nel Csm, alla fine degli anni Sessanta fu il presidente che guidò l’Azione cattolica italiana a rinascere con un nuovo volto (quello della cosiddetta “Scelta religiosa”, che intendeva «riscoprire la centralità dell’annuncio di Cristo, da cui tutto il resto prende significato”), sancito dallo Statuto del 1969.
Al momento dell’agguato brigatista, Bachelet non aveva la scorta: dopo il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro non l’aveva voluta per evitare di mettere a repentaglio la vita di altri uomini. «Il nonno sapeva del rischio che correva, ma lo aveva affrontato con serenità e spirito d’affidamento», spiega il nipote, che racconta anche come nacque la celebre preghiera pronunciata da suo papà Giovanni ai funerali del nonno, con le parole di perdono «per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri». Era il sovvertimento della logica sanguinaria delle Brigate Rosse, un modo per spezzare la catena dell’odio. Quella preghiera «era stata pensata da tutta la famiglia. Il mio papà era solo il portavoce. Con i congiunti era come se pregassero anche l’Azione cattolica e la comunità civile che in quei valori si rispecchiavano. Non una cosa da eroi, ma semplicemente ciò che dice il Vangelo e per questo fu molto forte».