Finalmente è entrato in vigore l’accordo sul clima stipulato a Parigi per contenere il riscaldamento globale che tiene in scacco il futuro della nostra terra. È stato necessario quasi un anno di lavoro per la diplomazia internazionale. Dopo Cina e Stati Uniti hanno firmato anche il Nepal, il Canada, l’Unione europea. Così è stata superata la soglia minima, l’adesione di almeno 55 Paesi che assieme producono almeno il 55% di emissioni di CO2, affinché possa essere efficace l’accordo elaborato a Parigi nel dicembre 2015 dalla COP21.
Ora occorre rispettare gli impegni, ma un passo verso uno sviluppo sostenibile è stato compiuto. I Paesi firmatari, tra cui l’Italia, dovranno ridurre le emissioni di gas serra, l’obiettivo è di limitare l’aumento della temperatura al di sotto dei 2 gradi centigradi o meglio arrivare a 1,5 gradi.
La strada non è in discesa. Il rapporto dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile rivela la distanza tra l’attuale situazione e un modello di sviluppo equo e sostenibile. Quando prendiamo in riferimento gli indicatori climatici si sottolinea la necessità che «l’Italia innalzi la propria ambizione, messa in dubbio dal cattivo risultato del 2015 e riprenda con rinnovata visione verso la strada della decarbonizzazione»; per rispettare il limite dei 2 gradi, cioè l’obiettivo minimo, si dovrebbe passare dalle circa 7 tonnellate di anidride carbonica prodotta nel 2015 a 5 tonnellate nel 2030.
Il cambio di passo richiede un rilancio della strategia energetica nazionale che passi per l’aumento delle fonti rinnovabili e per il risparmio energetico, spiegano nel rapporto. Non si tratta solo di consumare meno, ma di produrre meglio.
Il modello economico da seguire dovrebbe essere quello circolare, proposto anche dall’Unione europea. Esso ha l’ambizione di rigenerarsi, invece di consumare, e dovrebbe permettere di ridurre l’impatto ambientale senza tagliare l’occupazione e mantenendo un livello alto della qualità della vita.
La proposta però potrà avere gambe se sarà accompagnata da una nuova idea di sviluppo che pone al centro l’uomo e le sue relazioni con l’ambiente e con la sua comunità. Come ha affermato papa Francesco nella Laudato Si’: «Un percorso di sviluppo produttivo più creativo e meglio orientato potrebbe correggere la disparità tra l’eccessivo investimento tecnologico per il consumo e quello scarso per risolvere i problemi urgenti dell’umanità; potrebbe generare forme intelligenti e redditizie di riutilizzo, di recupero funzionale e di riciclo; potrebbe migliorare l’efficienza energetica delle città; e così via. La diversificazione produttiva offre larghissime possibilità all’intelligenza umana per creare e innovare, mentre protegge l’ambiente e crea più opportunità di lavoro. Questa sarebbe una creatività capace di far fiorire nuovamente la nobiltà dell’essere umano, perché è più dignitoso usare l’intelligenza, con audacia e responsabilità, per trovare forme di sviluppo sostenibile ed equo, nel quadro di una concezione più ampia della qualità della vita» (n. 192). Ci sono dei piccoli segnali che indirizzano su questa strada, ora bisognerebbe iniziare a compiere dei passi decisi.