La definizione della regola del “pari passo” ha caratterizzato il vertice a quattro tra Italia, Germania, Francia e Spagna del 22 giugno a Roma. E già lo sguardo della politica europea si proietta verso un’altra capitale (Bruxelles) e un altro vertice (il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno).
Il pari passo indica la modalità con la quale s’intende procedere lungo la strada del rafforzamento dell’Europa, soggetto in grado di tener testa – a differenza dei singoli Paesi Ue – alle sfide globali. Il pari passo segnala infatti che in questa ritrovata fase di fiducia nell’Unione europea, o, meglio, di necessità dell’Unione europea, si deve contemporaneamente puntare sull’Europa politica e sull’Europa economica, sul rigore dei bilanci e sulle azioni per la crescita, sulle garanzie ma anche sul controllo per quanto attiene gli aiuti alle banche. La nuova ricetta si può applicare in tanti altri campi ed è estensibile quasi all’infinito. Per esempio: l’Ue va costruita ogni giorno rafforzandone le istituzioni comuni e, di pari passo, rispettando le specificità e gli interessi nazionali. Ci vuole solidarietà e così pure sussidiarietà. La “casa comune” deve procedere alla stessa velocità, per non perdere pezzi per strada, ma, al contempo, è possibile, per talune decisioni, prendere la via delle cooperazioni rafforzate, che costruiscono una Ue a geografia variabile (come è accaduto per Schengen, per l’euro o per il fiscal compact, come forse capiterà per la tassa sulle transazioni finanziarie, che trova d’accordo molti Paesi, ma tanti altri la avversano).
Così le conclusioni del summit di Roma consegnano un messaggio complessivamente positivo (Merkel, Hollande, Monti e Rajoy voglio una maggiore integrazione politica ed economica; tutti considerano l’euro “irreversibile”), benché il cammino da compiere per dare gambe alla volontà sia ancora lungo e costellato di ostacoli. Da Villa Madama emergono varie convergenze: più crescita e occupazione, con un pacchetto da 120/130 miliardi di euro senza trascurare il rigore (che però non deve scadere nell’austerità, ha puntualizzato Hollande); sì all’unione bancaria; “perché no” alla versione europea della Tobin Tax.
Dal quadrangolare romano si ha del resto la conferma che non sono chiare le posizioni sul ruolo della Bce, sul fondo salva-Stati e dunque nemmeno si conosce il futuro degli eurobond. Per questo l’Europa comunitaria, sempre in marcia, volge già lo sguardo al summit del prossimo fine settimana. Alcune convergenze si possono ritenere scontate con l’intento di contrastare più efficacemente la crisi e rilanciare l’economia e il lavoro; altri nodi sono quasi sciolti, altri non lo sono affatto. I segnali giunti nelle ultime settimane lasciano peraltro ben sperare: dal referendum irlandese sul fiscal compact al voto greco, dalla posizione comune tenuta al G20 ai chiarimenti in atto nell’Ecofin e nell’Eurogruppo. Ora va colta l’occasione dell’imminente Consiglio europeo per fare un passo avanti. Un “di pari passo” avanti.