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Sirio 01 - 10 novembre 2024
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Tragedie del mare

Unhcr: «Sei morti di fame e di sete nel Mediterraneo»

Sono siriani: due bambini di uno e due anni, un 12enne e tre adulti, tra cui la nonna e la madre di alcuni bambini sopravvissuti. Caritas Italiana: «Assurda l'assenza di risposte»

di Patrizia CaiffaAgensir

13 Settembre 2022
Foto di Laurin Schmid - Sos Mediterranee

Ancora vittime nel Mediterraneo centrale: sei siriani, fra cui due bambini di uno e due anni, un 12enne e tre adulti, tra cui la nonna e la madre di alcuni bambini sopravvissuti. L’Unhcr pensa «che siano morti di fame e di sete. Molte delle persone sbarcate a Pozzallo presentano anche condizioni estremamente gravi, tra cui ustioni».

Unhcr esprime «profondo rammarico per l’ultima perdita di vite umane in mare e chiede il ripristino di un meccanismo di ricerca e soccorso rapido ed efficiente». Sono 26 i sopravvissuti che stanno sbarcando da una nave della Guardia costiera italiana a Pozzallo. Due persone, una donna e sua figlia, sono state evacuate a Malta ieri sera per essere curate. L’Unhcr è presente allo sbarco e sta lavorando con le organizzazioni non governative per garantire la necessaria assistenza ai sopravvissuti, incluso un supporto psicologico specializzato.

«Questa inaccettabile perdita di vite umane e il fatto che il gruppo abbia trascorso diversi giorni alla deriva prima di essere soccorso evidenziano ancora una volta l’urgente necessità di ripristinare un meccanismo di ricerca e soccorso tempestivo ed efficiente, guidato dagli stati nel Mediterraneo – ha dichiarato Chiara Cardoletti, rappresentante dell’Unhcr in Italia, Santa Sede e San Marino -. Il soccorso in mare è un imperativo umanitario saldamente radicato nel diritto internazionale. Allo stesso tempo, è necessario fare di più per ampliare i canali sicuri e regolari e crearne di nuovi per fare in modo che le persone in fuga da guerre e persecuzioni possano trovare sicurezza senza mettere ulteriormente a rischio le loro vite».

Quest’anno, oltre 1.200 persone sono morte o risultano disperse nel Mediterraneo.

Migrantes: «Il Mediterraneo torna a essere una tomba»

«Il Mediterraneo torna a essere una tomba, un cimitero, questa volta di due bambini in fuga annegati, insieme a un giovane e a due adulti – afferma la Fondazione Migrantes -. Erano siriani e nessuno può negare che avevano diritto alla protezione internazionale. Non sappiamo ancora se esiste un legame familiare tra queste persone». Queste immagini drammatiche, prosegue la Fondazione Cei, «chiedono un rinnovato impegno e non un blocco delle azioni di salvataggio in mare; chiedono un’azione congiunta tra le navi di soccorso delle Ong e le navi e gli aerei militari dei Paesi europei; chiedono un’azione europea in Libia per prevedere canali umanitari e legali per chi abbia diritto a una forma di protezione internazionale. Troppe parole si spendono mentre troppi morti si accumulano in fondo al mare».

La Fondazione Migrantes auspica «da subito un permesso di protezione internazionale per i 26 sopravvissuti; un rinnovato impegno politico e civile a favore di chi chiede e ha diritto a una protezione internazionale, perché questo diritto non finisca in fondo al mare, negato, con nuove vittime innocenti. Una democrazia non può accettare che diritti fondamentali, come il diritto d’asilo, siano calpestati e ignorati».

Centro Astalli: «Inaccettabile che l’Europa lasci morire le persone nell’indifferenza»

«Siamo sgomenti e addolorati per questa tragica notizia. Inaccettabile e profondamente sbagliato che l’Europa si ostini a lasciar morire nell’indifferenza sempre più colpevole degli innocenti: lo afferma padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, Servizio dei gesuiti per i rifugiati in Italia, dopo aver appreso la notizia.

Il Centro Astalli chiede con forza a chi si candida a governare il Paese e alle istituzioni nazionali e sovranazionali: «La tempestiva attivazione di un’operazione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale che salvi i migranti in difficoltà e li conduca in un porto sicuro che non può essere la Libia; l’apertura immediata di canali umanitari dalle zone di guerra o di crisi umanitarie e quote d’ingresso per la gestione di una migrazione legale, ordinata e sicura».

«Continuare a restare fermi in posizioni di chiusura, voler bloccare gli arrivi è irrealistico – conclude padre Ripamonti -. Governare le migrazioni per trasformarle in una risorsa per le nostre società è un banco di prova in cui si misurano capacità di costruire il bene comune e visione del futuro».

Forti (Caritas italiana): «Le soluzioni ci sono»

«La modalità con cui sono morti questi bambini ha un tratto simbolico. Dà la dimensione di quello che sta accadendo: oggi, nel 2022, vedere nel Mediterraneo, alle porte dell’Europa, dei bambini che muoiono di sete e di stenti è qualcosa di insopportabile dal punto di vista emotivo e assurdo per l’assenza di risposte e diverse richieste di aiuto rimaste inascoltate»: lo afferma Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana.

L’opinione pubblica sembra abbastanza indifferente…
Nei fatti è indifferenza ma è vero anche che si registra in un momento storico molto difficile, con una guerra alle porte e bambini che muoiono sotto le bombe. Questo dovrebbe essere di stimolo per un ragionamento ad ampio spettro, dove il sistema della tutela dei diritti e della vita umana diventi un punto cardine. Ma il tema migrazioni è assente anche dal dibattito politico della campagna elettorale. Tutto questo non aiuta la consapevolezza. Se ne parla poco e si stimolano anche poco le riflessioni.

Oltre all’impatto emotivo cosa servirebbe?
Non si tratta solo di provare pathos. Essere lucidi e cercare insieme le risposte dovrebbe essere l’obiettivo. La tragedia di questi giorni è quella che viviamo da vent’anni. La consapevolezza c’è ma in assenza di risposte c’è una sorta di assuefazione all’ineluttabile. Quando invece avremmo gli strumenti e le possibilità per evitarle.

Alcune forze politiche ogni tanto invocano il blocco navale. Servirebbe?
Il blocco navale è sintomatico del fatto che il tema nella sua gravità viene sempre affrontato in una cornice di contrapposizione, di uno contro l’altro, italiani contro migranti. Bisognerebbe abituarsi anche nella narrazione pubblica a usare più il plurale «noi», perché il tema va affrontato insieme: noi con chi vuole partire, noi insieme all’Europa. Altrimenti se si rimane «io» e «tu» in questi anni abbiamo capito che non andiamo molto lontano, possiamo solo aggravare la situazione.

Molti accusano l’Europa di non agire per evitare altre morti in mare. È così?
Ci sono raccomandazioni e impegni vaghi, ma non c’è un piano europeo rispetto agli ingressi regolari. C’è solo l’impegno di continuare a finanziare la Turchia per trattenere i profughi. Però sta di fatto che l’assenza di futuro e prospettive spinge le persone a tentare comunque il viaggio. Ci sarà sempre qualcuno che si mette in mare, quindi un dispositivo di ricerca e soccorso in mare è necessario e doveroso, come pure evitare ritardi eccessivi nell’assegnare i porti. Va trovata, in maniera dialogante, una via che possa essere sostenibile. Il fatto di ritardare il permesso agli sbarchi, se non è dovuto a motivi tecnici, è solo una cattiveria gratuita, visto che prima o poi li fanno sbarcare.

L’hot spot di Lampedusa è di nuovo al collasso: anche lì la situazione è cronicizzata…
Le critiche mosse da una parte e dall’altra di chi ha governato non hanno permesso che la situazione di Lampedusa migliorasse. Diventa quasi un’autocritica, visto che da vent’anni la situazione è in stallo e nessuno ha voluto mai realmente dare una svolta al sistema di accoglienza sull’isola, che è sempre in affanno.

Cosa sarebbe necessario?
Intervenire sul centro ristrutturandolo per adeguarlo ai numeri e prevedere un sistema di trasferimento veloce da Lampedusa verso altri porti. Creare un sistema, che piaccia o non piaccia, fluidificato e rispettoso dei migranti e dei lampedusani. Investendo pochi milioni di euro si potrebbe fare un salto di qualità che sarebbe riconosciuto anche a livello europeo. Invece siamo additati per come gestiamo la situazione quando avremmo tutte le competenze e le risorse per migliorare. Potremmo presentarci all’estero come i primi della classe, non sarebbe difficile. Tanto i migranti continueranno ad arrivare ma accoglierli in una struttura dove le condizioni sono dignitose e il servizio offerto è di qualità e i trasferimenti veloci è possibile.

Poi c’è la via dei corridoi umanitari. Quali sono le novità?
Andremo in Pakistan a fine settembre per organizzare altri corridoi umanitari per gli afgani, è parte del protocollo firmato con il governo italiano. Sui barconi arrivano anche afgani e ciò che stiamo facendo in questi anni significa che le vie legali e sicure esistono. Ora stiamo parlando anche con il governo turco e continua l’impegno per mantenere attivi i corridoi dall’Africa. Queste sono le risposte che noi società civile possiamo fare con le nostre forze. L’auspicio è che queste operazioni vengano sempre più emulate. Perché se si crea un sistema istituzionale a livello nazionale ed europeo, nel quale le vie legali d’ingresso diventano la norma, diminuirebbero di tanto le morti in mare e la necessità che le persone debbano partire. Voglio ricordare che negli stessi giorni in cui muoiono le persone in mare c’è un pezzo di società civile che rimane attiva e vigile sulla possibilità di far arrivare in maniera sicura e legale le persone.