Il fenomeno del bullismo a scuola e in particolare del cyberbullismo – cioè quello amplificato dall’uso delle tecnologie e da internet – sono tornati all’attenzione di tutti dopo la terribile vicenda della ragazzina di Pordenone che si è gettata dalla finestra di casa lasciando messaggi scritti nei quali denunciava il proprio disagio con i compagni di scuola. È stata sfiorata la tragedia, perché la ragazzina, 12 anni, ha rischiato di morire. Fortunatamente una tapparella aperta ha attutito la caduta e la dodicenne se l’è cavata con diverse fratture, restando viva. Con i soccorritori del 118, poi, ha spiegato: «A scuola me lo dicevano: perché non ti uccidi? Ucciditi».
Naturalmente sono scattate le indagini e toccherà alla magistratura ricostruire lo scenario all’interno del quale è maturato l’accaduto, così come toccherà loro accertare eventuali responsabilità, di adulti e minori. Si possono però fare da subito alcune riflessioni.
La prima riguarda l’importanza di guardare con molta attenzione ai comportamenti dei nostri ragazzi. La dodicenne di Pordenone sembra essere passata attraverso la nebbia, perché nessuno – così dalle prime cronache – sembrava aver raccolto segnali d’allarme rispetto al disagio. «Non c’era alcun segnale che lasciasse presagire quanto accaduto, siamo sconvolti – ha detto la dirigente della scuola -. Mai, né durante i Consigli di classe, né in situazioni più informali – aggiunge – era emerso disagio di alcun tipo, e men che meno episodi di presunto bullismo». Né erano emerse segnalazioni dei genitori.
Non è facile cogliere messaggi di chi, come in particolare adolescenti e preadolescenti, tende piuttosto a chiudersi. E allora vale la pena di ridirsi che l’attenzione va moltiplicata, gestita in modo condiviso tra gli adulti, tra scuola e famiglia, tra chi si occupa dell’educazione dei più piccoli.
Un’altra considerazione riguarda la necessità di alzare di più le antenne rispetto all’uso degli strumenti tecnologici che ormai tutti hanno in mano, soprattutto gli smartphone, con wathsApp e i social network. Non sono e non possono essere un “luogo franco” per i ragazzi. Un occhio vigile e adulto deve poterli seguire. Spesso se n’è parlato, anche per altri episodi di cronaca, sollevando tra l’altro il tema della “privacy”. Ma resta l’esigenza, oltre a quella sostanziale di un’educazione all’uso dei mezzi, di una concreta vigilanza nei confronti dell’utilizzo che ne fanno i minori. Non per “spiare” tra i messaggini, ma per far crescere consapevolezza e responsabilità in un ambito, quello relazionale, che oggi passa anche e forse soprattutto, a una certa età, attraverso telefonini e pc.
Un’ultima suggestione riguarda i bulli. Bisogna tutelare le “vittime”, cogliere i disagi e soccorrere, sollevare, accompagnare. Direi, soprattutto, ascoltare. Ebbene, questo vale anche per i “carnefici”, a loro volta immersi in un disagio che manifestano aggredendo e tormentando gli altri. Anche i bulli hanno bisogno di essere ascoltati. Fermati, certo. Sanzionati, anche. E con severità. Ma soprattutto ascoltati e aiutati. Anche loro.
Come fare? Nella scuola già si fa molto, anche se non basta mai. Ci sono poi altri soggetti in campo. Telefono Azzurro, ad esempio, suggerisce idee e pratiche. La direzione principale? L’alleanza tra gli adulti, l’azione condivisa, genitori, insegnanti ed esperti insieme. E servono conoscenze, ricerca, progetti. Su questa strada si può e si deve camminare.