«Spero che la Tunisia diventi davvero un laboratorio di libertà e democrazia. Speriamo che le elezioni vadano bene e il popolo tunisino possa vivere in tranquillità e pace, perché merita di avere lavoro e futuro nel proprio Paese». È l’auspicio espresso da monsignor Maroun Lahham, arcivescovo di Tunisi, alla vigilia delle prime elezioni libere dopo la “primavera araba” che ha scosso i regimi nordafricani.
Con la “rivoluzione dei gelsomini” del 14 gennaio scorso la Tunisia si è liberata dal regime di Ben Ali dopo 23 anni. Domenica 23 ottobre si terranno le elezioni dei 217 membri dell’Assemblea costituente che dovrà redigere la nuova Costituzione. Una delegazione del Parlamento europeo sarà in Tunisia fino al 25 ottobre per monitorare le elezioni. Potranno votare, nei giorni precedenti, anche i tunisini all’estero, in Italia e in altre cinque circoscrizioni elettorali. I tunisini residenti in Italia eleggeranno il 23 ottobre 3 deputati. Circa 110 i partiti che si presentano alle elezioni, riuniti in varie alleanze.
Monsignor Lahham, che presenterà al Vaticano un rapporto post-elettorale sui risultati, aveva già scritto a luglio una lettera pastorale sulle elezioni, nella quale invitava all’«ottimismo e al discernimento»: «Il nostro primo desiderio – si leggeva – è di vedere il Paese finalmente in una situazione di democrazia. Poiché fare una rivoluzione è una cosa, riuscire nella transizione democratica è un’altra».
La Tunisia ha gli occhi del mondo puntati su di sé, primo Paese della “primavera araba” a organizzare elezioni libere. È avvertita questa responsabilità?
Certo. I tunisini sanno che devono fare bella figura perché rispetto ai Paesi arabi costituiscono un laboratorio e rispetto all’Europa sono coloro che portano avanti questo primo tentativo nel mondo islamico.
Come si sta preparando la popolazione tunisina e come sta andando la campagna elettorale?
Con tanta calma. Non si direbbe che è in corso una campagna elettorale. Ci sono molte tavole rotonde e interventi in tv. Vengono trasmessi programmi che spiegano bene come fare per votare. Penso che le elezioni si svolgeranno serenamente.
La sua comunità è piccola (22 mila cattolici) e l’80% sono stranieri, provenienti dall’Africa sub sahariana. Qualcuno voterà?
Pochissimi. Solo qualche donna europea, sposata con un tunisino, che per questo ha passaporto tunisino. La maggior parte sono studenti stranieri e non hanno passaporto.
Ci sono delle previsioni, dei sondaggi?
Le sorprese delle elezioni non si possono prevedere. Si presentano 110 partiti, ma sono cinque o sei quelli più in vista. I sondaggi indicano come primo partito Ennadha (“la verità”, ndr), che ha un orientamento islamico moderato. È dato intorno al 20/30%. Gli altri partiti dal 17% in giù. Ennadha sa bene che se vuole governare ha bisogno degli altri partiti, per cui deve mettere, come si dice dalle nostri parti, un po’ di acqua nel suo vino.
Predomina la fiducia o il timore?
C’è gente fiduciosa e ottimista e gente preoccupata o che ha paura, come in tutte le società. Non credo ci saranno brogli. Siamo gente seria. Ma l’impressione generale è che tutto sia veramente tranquillo.
Percepisce una voglia di partecipazione tra i tunisini?
C’è voglia di partecipare ma non troppo entusiasmo. È la prima volta che si vota, ma tutti i programmi sono simili. Tutti i partiti promettono il paradiso ma la gente non sa bene chi votare. C’è ancora incertezza e confusione, anche perché è una novità.
È ancora vivo lo slancio della rivoluzione? Quali sono le richieste dei cittadini?
Secondo l’ultimo sondaggio la gente vuole soprattutto lavoro e sicurezza. Tutto il resto viene dopo. In questi ultimi mesi c’è stata un po’ di confusione qua e là, ma la gente vuole solo lavorare e vivere in pace. Tutte le altre promesse sono vento.