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Sirio 11 - 17 novembre 2024
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Giornata mondiale

Tratta, sensibilizzare le comunità e formare le coscienze

L’appello di suor Eugenia Bonetti: «Dobbiamo iniziare dalle parrocchie e non nascondere tutto il sotto tappeto. Invece facciamo finta di non vedere cosa avviene sulle nostre strade: stiamo distruggendo generazioni di donne, sempre più giovani»

di Patrizia CAIFFAAgensir

10 Febbraio 2020

Quaranta milioni di persone ridotte in schiavitù nel mondo, di cui il 72% donne e bambine. Un terzo delle vittime sono minorenni. In Italia sono stimate almeno 90-100 mila donne costrette a prostituirsi sulle strade e oltre 6 milioni i “clienti” che «le usano e abusano, di cui il 90% si dicono cattolici». Snocciola cifre che ripete da una vita suor Eugenia Bonetti, la veterana delle suore anti-tratta. Ancora oggi trascorre molte delle sue giornate al Cpr di Ponte Galeria, a Roma, accanto alle donne trovate in strada senza regolari permessi, in attesa di essere rimpatriate. Suor Eugenia, missionaria della Consolata, fondatrice e presidente dell’associazione Slaves no more, non si stanca di alzare la voce contro questo fenomeno che negli anni «ha cambiato forma ma non è migliorato: oggi in strada ci sono sempre più ragazzine».

La Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta degli esseri umani (sabato 8 febbraio l’VI edizione) è «un grande dono ricevuto da Papa Francesco». Fu proprio lei, nel settembre 2013, a incontrare per la prima volta il Papa, chiedendogli di istituire la Giornata mondiale l’8 febbraio, in occasione della festa di Santa Giuseppina Bakhita, la giovane sudanese rapita a 7 anni, venduta più volte al mercato degli schiavi, poi liberata e divenuta suora. È stata canonizzata nel 2000 da Giovanni Paolo II. La Giornata è un momento clou per tutte le religiose che si battono contro la tratta, riunite nella rete internazionale Talitha Kum, che fa anche lavoro di prevenzione nei Paesi di provenienza delle giovani sfruttate.

Le storie delle ragazze

Suor Eugenia è abituata a parlare con i giornalisti, a salire sui palchi e a partecipare a trasmissioni in tv. Il suo spirito è sempre indomito e battagliero, ma quando descrive le storie delle ragazze che segue, le ferite profonde, la sua verve tentenna. Troppa è la sofferenza nel ricordare la ragazzina dell’Est Europa che i suoi profittatori stavano abusando per iniziarla alla prostituzione. «Disperata, ha chiesto di andare in bagno e si è gettata dalla finestra al terzo piano – racconta -. Non è morta, ma aveva le ossa completamente distrutte. L’abbiamo accompagnata e aiutata, ma non è facile riprendersi da traumi così gravi». Un’altra giovane è stata costretta a subire l’amputazione di una gamba, a causa dei geloni provocati dalle notti al freddo sui marciapiedi. «Dopo l’operazione i suoi sfruttatori le dissero che doveva tornare di nuovo in strada – ricorda -. Lei si oppose, ma loro risposero che per fare questo lavoro non aveva bisogno delle gambe».

La sfida: sensibilizzare le parrocchie

La sfida attuale della Giornata mondiale di preghiera, sottolinea la religiosa, «è la sensibilizzazione delle parrocchie, perché tutti sappiano che questo enorme fenomeno sta distruggendo le vite di milioni di persone». «Dobbiamo iniziare dalle parrocchie e non nascondere tutto il sotto tappeto – afferma -. Invece facciamo finta di non vedere cosa avviene sulle nostre strade: stiamo distruggendo generazioni di donne, sempre più giovani. Troviamo ragazzine addormentate in terra come stracci, è una vergogna».

In questi sei anni, da quando è stata istituita la Giornata, suor Eugenia nota «più sensibilità tra le organizzazioni che lavorano nel settore, ma la domanda non è cambiata. I clienti delle ragazze sono convinti che vogliono fare questo lavoro. Non sanno che sono talmente invischiate nella rete al punto da dover mentire, perché altrimenti vengono picchiate. Portano i segni su tutto il corpo, insieme alle ferite interiori. Dopo queste esperienze non saranno più le stesse».

Appello ai governi e alle coscienze

Secondo suor Eugenia «bisogna lavorare insieme e chiedere ai governi di assolvere al dovere dell’accoglienza in modo corretto. Altrimenti le ragazze, non trovando lavoro e alloggio, finiscono nelle mani dei trafficanti». Anche se, precisa, «non basta puntare il dito contro i governi se non partiamo da noi, dalla formazione delle coscienze nelle nostre comunità».