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Sirio 23 - 31 dicembre 2024
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Economia

Titoli di Stato, investimento per il futuro

A sorpresa, per i Btp ventennali a basso interesse la domanda ha superato di molto l’offerta. Costretti a risparmiare per integrare le magre pensioni dei prossimi anni

di Nicola SALVAGNIN

3 Maggio 2016

«Pieno successo per i Btp ventennali emessi dallo Stato italiano, con una domanda di molto superiore all’offerta», titolavano le pagine economiche dei giornali di qualche giorno fa. Il Btp 2036 è stato stravenduto già in sede di collocamento, permettendo alle nostre finanze pubbliche di fare incetta di soldi a basso costo e a lunga scadenza. Basso costo? Sì: l’interesse annuo non supera il 2,3%. Lordo. E il Btp trentennale piazzato a febbraio? Renderà a chi lo ha acquistato – mettendosi in fila – “ben” il 2,7% ogni anno. Sempre lordo, s’intende.

E se l’inflazione dovesse salire? Se tra 5-10 anni gli interessi andassero al 4-5% se non di più, tanto per dire? Chi se lo tiene un titolo così poco redditizio, così rischioso?

Qui sta il punto. Simili tassi d’interesse dovrebbero spaventare quasi tutti, certamente non ingolosire alcuno. Invece, i Btp vanno esauriti in un amen, così come i titoli pubblici francesi, meno redditizi ancora e più lunghi: 50 anni. Mezzo secolo…

Ma già trent’anni sono un arco di tempo enorme. Nel 1986 si era ai primi, rudimentali computer, manco ci si immaginava internet; esisteva l’Unione Sovietica e tutti si pensava che l’umanità fosse a rischio bombe atomiche e Terza guerra mondiale: nemmeno Hollywood riusciva ad immaginare attacchi terroristici suicidi nelle nostre città (e altrove). C’erano le fabbriche, la classe operaia, si affacciava il primo terziario nella “Milano da bere”. È difficile oggi spiegare ai nostri figli e nipoti che, quando si era in giro, per telefonare occorreva trovare una cabina. Se non c’era, niente comunicazione, punto.

La Borsa era fatta da qualche agente che acquistava e vendeva Fiat e Pirelli con foglietti di carta. Oggi Fiat ha cambiato nome, Pirelli padrone. Insomma, le cose cambiano a velocità spaziale, nell’era moderna. Chissà che scarpe indosseremo, nel 2036, semmai ci sarà consentito di indossarle.

Ma queste sono considerazioni completamente scollegate dalla realtà di questi titoli di Stato che apparentemente vivono con una prospettiva lunghissima, perfetta ad esempio per le assicurazioni che emettono polizze vita; in realtà puri strumenti di speculazione giornaliera, da comprare, vendere e riacquistare per speculare sulle differenze di prezzo. Come tutto, ormai: azioni, obbligazioni, materie prime, strumenti finanziari, scommesse…
A rimanere indifferente e lontano è solo il singolo risparmiatore che investe direttamente i suoi risparmi (indirettamente c’è coinvolto in pieno, con i fondi comuni e quant’altro si muova nel mondo dei soldi). Per assumersi rischi enormi da qui a 20-30 anni, il Btp lo gratificherebbe con, diconsi, 20 e rotti euro all’anno ogni mille investiti. Ci ride (amaro) sopra, quindi fa quel che fanno tutti gli altri italiani nelle sue condizioni: lascia tutto in conto corrente, o nei conti deposito.

Il fatto è che non ha capito – il risparmiatore italiano – che è cambiato tutto, pure per i suoi soldi. I risparmi non frutteranno più nulla, da qui a molto tempo. Allora non serve più risparmiare? No, anzi: li deve considerare come un “investimento” a lungo periodo, per quando cioè dovrà contare su di essi per integrare le magre pensioni che si percepiranno nei prossimi anni. Senza quei risparmi, il “meritato periodo di riposo” si trasformerà in un’odissea per tirare a campare.