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Sirio 01 - 10 novembre 2024
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Guerra civile

Tavolo della pace per il Sud Sudan

Oggi ad Addis Abeba prende il via la seconda tornata dei colloqui. Si spera di giungere a un accordo più solido del cessate il fuoco di gennaio

di Davide MAGGIORE

10 Febbraio 2014

La popolazione ha voglia di pace, ma nel Sud Sudan non si ferma la guerra civile. La capitale Juba, dove la crisi è esplosa a metà dicembre con gli scontri tra diverse unità dell’esercito, è ormai tranquilla, ma in altre aree la tregua faticosamente raggiunta il 23 gennaio non è stata rispettata. Scontri nella zona tra gli stati di Unity, nel nord, e Jonglei, ad est, hanno costretto molti abitanti a fuggire e a rifugiarsi nella foresta: la situazione è confusa, ma sono stati segnalati movimenti sia delle truppe governative fedeli al presidente Salva Kiir, sia dei ribelli che per lo più si riconoscono nell’ex-vicepresidente – esautorato lo scorso luglio – Riek Machar.

La missione delle Nazioni Unite nel Paese, attraverso un suo portavoce, ha confermato la notizia di saccheggi avvenuti a Bor, capoluogo del Jonglei, e ha descritto Malakal, città principale della regione petrolifera dell’Alto Nilo, come “silenziosa e deserta”. Potrebbe dunque crescere il bilancio delle vittime del conflitto, su cui resta molta incertezza: varie stime ne indicano “migliaia”, e quella – non confermabile indipendentemente – dell’International Crisis Group si spinge a ipotizzare la cifra di 10mila morti in meno di due mesi.

 Speranze di pace e difficoltà

Molti occhi sono puntati su Addis Abeba, con l’auspicio che la seconda tornata dei colloqui di pace – al via oggi, 10 febbraio – porti a un accordo definitivo e più solido del cessate il fuoco di gennaio. Tra la gente «in generale c’è molta speranza, si vuole tornare a vivere, ad andare a scuola», racconta dalla capitale sud-sudanese Enrica Valentini, direttrice del Catholic Radio Network, che raggruppa varie radio diocesane. Sono però diversi gli elementi di preoccupazione: alla vigilia dei colloqui, Machar ha annunciato la costituzione di un fronte di resistenza antigovernativo, mentre Kiir ha confermato che non intende concedere la grazia ai quattro dissidenti politici ancora incarcerati perché considerati complici di Machar in un tentativo di golpe, sempre negato dal leader ribelle.

 Società civile esclusa

Da Juba «è difficile capire se ci siano degli interessi a sedersi al tavolo delle trattative e a dialogare veramente», dice ancora Enrica Valentini, visti i segnali contraddittori che arrivano dai due campi: giorni fa Salva Kiir aveva scarcerato altri sette dissidenti a cui sembrava sarebbe stato permesso di partecipare ai colloqui. Intanto all’Igad, l’autorità regionale responsabile della mediazione, continuano ad arrivare le richieste di varie realtà locali, che lamentano l’esclusione della società civile dalle discussioni. Anche la Chiesa si è mobilitata, chiedendo attraverso i vescovi di poter giocare un ruolo. Lo scopo, spiega la direttrice del Catholic Radio Network è di «far tornare alla mente di chi siede al tavolo che la priorità è difendere la popolazione, permettendole di vivere normalmente».

 La Chiesa fa appello alla pace

«La gente comune è quella che soffre di più, anche nelle zone dove non si combatte – prosegue Enrica Valentini – ad esempio per la mancanza di accesso al cibo, provocata dalla difficoltà dei commerci». Un’altra emergenza è quella degli sfollati, circa 738mila, mentre oltre 130mila persone hanno cercato rifugio in Kenya e Uganda. «Fin dall’inizio della crisi il Catholic Radio Network si è attivato anche per favorire l’accesso a servizi di prima necessità – spiega la direttrice – segnalando, ad esempio dove si può avere accesso all’acqua o a cure sanitarie». Programmi più mirati sono in via di definizione, perché «gli eventi sono precipitati all’improvviso, ed è difficile organizzarsi quando spesso manca anche la linea del telefono». Le radio diocesane hanno ripreso, naturalmente, anche i numerosi appelli dei vescovi alla concordia, al dialogo e alla convivenza civile. «In questo momento stiamo cercando di coordinarci con vari altri organismi, non solo della Chiesa, per far partire iniziative a favore della pace», conclude Valentini. Tra quelle che verranno portate avanti, c’è una campagna di preghiera nel periodo della Quaresima, a cui ogni istituzione ecclesiale affiancherà attività specifiche.