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Venti di guerra sulla Terra Santa

Sirio 15 - 21 luglio 2024
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Milano

Suor Nabilah: «La mia vita a Gaza sotto le bombe»

Al Centro Pime commovente testimonianza della religiosa che, dopo gli attacchi del 7 ottobre e la reazione israeliana, ha trovato rifugio per 6 mesi nella parrocchia latina: «Il mio paese è tutto distrutto»

di Giacomo COZZAGLIO

5 Giugno 2024
Suor Nabilah Saleh (foto Vatican News)

«I nostri studenti desiderano tanto studiare e poterlo fare anche fuori dalla Striscia di Gaza che è una grande prigione, ma pochi hanno possibilità di viaggiare. Eppure desiderano essere persone attive per il loro Paese. Nelle altre guerre bombardavano solo le basi militari di Hamas, ma in questa riducono in macerie il Paese. Il nostro quartiere è ormai distrutto. Quasi cinque famiglie intere sono morte. Anche tre insegnanti…». La voce di suor Nabilah Saleh è interrotta dall’emozione e dalle lacrime, pensando alla distruzione che ha visto e alle vite sconvolte dei suoi studenti. La sua testimonianza, condivisa nella serata del 4 giugno in un incontro organizzato al Centro Missionario Pime in collaborazione con l’Arcidiocesi di Milano, l’associazione Elikya e il Centro culturale di Milano, racconta non solo il dramma della guerra, ma anche quali fossero la vita e i sogni del popolo palestinese.

«Si può vivere insieme»

Suor Nabilah è una religiosa egiziana della congregazione del Rosario di Gerusalemme; per 13 anni ha vissuto a Gaza come direttrice della scuola privata delle Rosary Sisters nel nord della Striscia. Un istituto costruito su un terreno donato dall’allora presidente Yasser Arafat e che ha visto tra i suoi 1250 alunni, in prevalenza musulmani, anche Zahwa, la figlia dello storico leader palestinese. La comunità cristiana di Gaza è piccola e conta circa un migliaio di persone, ma questo non ha impedito di trovare momenti autentici di condivisione: «Nella scuola il tempo più bello per i nostri studenti è il Natale: decoriamo tutta la scuola, gli studenti musulmani ci aiutano e alcune famiglie vengono a farci gli auguri. Anche nel tempo di Ramadan, si fanno cori insieme nelle classi. Così abbiamo lo spazio per educare i bambini nell’accettare il diverso nelle religioni. Sono gesti piccoli, ma fanno vedere l’amore reciproco e che è possibile vivere insieme».

Tutto è cambiato dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre: «Ci chiedevamo cosa sarebbe accaduto – spiega -. Siamo rimasti nella scuola per 11 giorni. Poi il patriarca latino Pizzaballa ci ha chiamato dicendoci di lasciarla perché la nostra zona era vicina a un posto militare di Hamas. L’abbiamo fatto pensando di stare via solo una o due settimane. Ma non è stato così».

Suor Nabilah durante la serata al Pime

Senza bere e mangiare

Pochi giorni dopo la partenza la scuola è stata bombardata, mentre suor Nabilah assieme ad altre 635 persone ha trovato rifugio nella parrocchia latina di Gaza. «È molto difficile da raccontare – ammette suor Nabilah -. Per tutto il giorno e la sera c’erano bombardamenti ovunque e quando avvenivano ci spostavamo nella chiesa, che era il luogo più sicuro. Una volta finiti cucinavamo, facevamo le pulizie e alcune attività con i bambini per impiegare il tempo, ma era difficile. Come potevamo mantenere 635 persone e soprattutto bambini che non potevano resistere senza bere o mangiare? Abbiamo fatto il possibile, ma tutta la gente nel nord e non solo noi è arrivata a mangiare le cose degli animali».

In uno di questi bombardamenti nella loro zona sono morte 18 persone, tra cui 7-8 bambini. A dicembre i soldati israeliani hanno cinto d’assedio il quartiere piazzando dei cecchini: una donna della parrocchia è stata uccisa perché scambiata per una terrorista, mentre alcuni ragazzi sono stati feriti dallo scoppio di una bomba.

Dopo 6 mesi, suor Nabilah assieme a 20 persone ha cercato di lasciare la Striscia. È stato il giorno più duro. «Vedevamo il paese, che ben conoscevo, tutto distrutto. Abbiamo camminato tanto tra carri armati, soldati israeliani e checkpoint portando una bandiera bianca. Avevamo paura di morire per strada perché quando muori lì nessuno può venire a seppellirti. Abbiamo trovato un carretto e poi una macchina e abbiamo raggiunto Rafah. Abbiamo atteso dalle 7 del mattino fino alle 6 di sera per poter passare il valico con l’Egitto e poi alle tre e mezza siamo arrivati al Cairo».

Pochi giorni dopo una ragazza della comunità ha fatto lo stesso percorso, ma ha avuto un malore ed è morta per strada. Aveva 18 anni.

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