Se lo dice (anche) il presidente della Bce, l’italiano Mario Draghi, allora è certificato: nel mondo occidentale – e nell’Europa dell’euro in particolare – sta crescendo il numero di posti di lavoro, ma poco pagati. «I salari restano bassi», ha in sostanza detto Draghi, riferendosi sia a quelli già esistenti (che ormai non vedono aumenti da molto tempo), sia a quelli appena avviati. I neo-assunti (almeno in Italia) partono assai frequentemente da retribuzioni inferiori ai mille euro netti mensili; se a ciò aggiungiamo la quantità enorme di contratti a tempo determinato, di stage, di apprendistati vari, ci si può ben rendere conto che la precarietà esistenziale sta diventando strutturale tra le nuove generazioni.
Un lavoro è meglio che niente, è ovvio. Ma le aziende lo pagano poco. È l’effetto della globalizzazione di tutto e di tutti; gli operai devono fronteggiare la concorrenza della manodopera orientale che costa dieci volte di meno; gli ex colletti bianchi, quella della rivoluzione digitale e delle innovazioni che stanno cancellando intere figure professionali, a cominciare dai bancari dietro ad uno sportello. Solo i manager di alto livello non se la stanno passando male: anzi, le loro a volte spropositate retribuzioni sono la fonte di enormi malumori all’interno del mondo del lavoro.
Ma la grande massa deve stringere la cinghia. È vero, non c’è l’inflazione ad erodere il potere di acquisto. Ma con 800 euro al mese, soprattutto se si vive in una grande città o al Nord, c’è poco da scialacquare e niente che possa garantire prospettive come abitazione, indipendenza, famiglia, figli.
«Sui salari non ci siamo», ha ammonito Draghi. C’è chi dice che puoi fare più fette della torta – ovvero più posti di lavoro – ma queste saranno sempre più esigue. E chi lamenta proprio la dimensione della torta: enorme quella destinata a proprietà ed azionisti; sempre quella per i lavoratori. Infatti una delle prime azioni che una nuova proprietà fa, all’ingresso nell’azienda, è quella di conteggiare gli “esuberi”, insomma tagliare il costo del lavoro per aumentare la torta del dividendo finale agli azionisti. Vedi il freschissimo caso-Ilva.
Se l’azienda non sta in piedi e non riesce a pagare gli stipendi, è chiaro che altre strade non esistono se non quelle dolorose. Ma se il lavoratore viene trattato come un mero fattore di costo al pari di un muletto e di due computer… come dice Draghi: non ci siamo.