È la più grave strage causata da armi da fuoco nella storia degli Stati Uniti. È avvenuta a Orlando (Florida), nel Pulse, un locale frequentato da gay. Intorno alle 2 di notte di domenica 12 giugno, Omar Seddique Mateen (29 anni) vi ha fatto irruzione sparando all’impazzata: il bilancio è di 50 morti e oltre 50 feriti. L’uomo si è poi barricato nel locale, prendendo in ostaggio diverse persone, fino all’intervento della polizia e alla conseguente sparatoria, nella quale il killer è stato ucciso.
Mateen era di origini afghane, anche se era cittadino statunitense. L’Fbi – che su di lui aveva già indagato nel 2013 e nel 2014, interrogandolo e poi rilasciandolo – ha reso noto che era sospettato di simpatie per l’Isis. Una notizia che sarebbe confermata dalla telefonata fatta da Mateen prima di compiere il massacro al 911 (il numero per le emergenze), nella quale avrebbe citato l’attentato alla maratona di Boston del 15 aprile 2013 e annunciato di voler giurare fedeltà al leader dell’Isis (cosa che poi avrebbe effettivamente fatto durante la presa di ostaggi). Inoltre il padre di Mateen sarebbe un sostenitore dei talebani, mentre l’ex moglie l’ha definito violento, mentalmente instabile, ma apparentemente non influenzato dall’Islam radicale. In realtà fonti jihadisti hanno celebrato sul web la strage di Orlando, rivendicandola e definendo Mateen «un combattente dello Stato Islamico». Tutto questo ha indotto il governatore della Florida Rick Scott a giudicare l’eccidio del Pulse «chiaramente un atto di terrorismo». Lo stesso presidente Barack Obama ha parlato di «un atto di terrore e odio» e, appellandosi all’unità del Paese, ha detto: «I nostri cuori si sono spezzati oggi. Non ci faremo spaventare, colpiremo chi ci vuole attaccare».