«Più un’interessante provocazione che una possibilità reale». È la considerazione di Ivan Nissoli, responsabile del Settore Volontariato – Area Servizio civile della Caritas ambrosiana, di fronte alla recente proposta di istituire un servizio civile obbligatorio avanzata dal ministro della Difesa Roberta Pinotti. Può diventare innanzitutto uno stimolo alla riflessione e alla promozione dell’attuale servizio che coinvolge già migliaia di giovani. «Potrebbe essere più interessante sostenere quello che si sta già facendo e sperimentare affiancando il percorso della scuola attraverso esperienze che si stanno sviluppando nell’alternanza scuola-lavoro-volontariato. Sono iniziative che possono far appassionare i giovani e far crescere nella consapevolezza della responsabilità verso il bene comune e nella costruzione della comunità». In questi giorni verrà reso pubblico il bando per nuovi 50 mila posti in tutta Italia. Alla Caritas ambrosiana saranno 90, da dedicare al servizio in Italia o all’estero (info: pace@caritasambrosiana.it).
Nissoli, come valuta la proposta del servizio civile obbligatorio?
Sicuramente apre un dibattito stimolante sul rapporto tra giovani, cittadinanza e partecipazione per far crescere la comunità nel servizio alla Patria. Tuttavia il governo all’inizio di aprile ha approvato il Decreto legislativo n. 40 di istituzione del servizio civile universale su base volontaria, dove si dice che tutti i giovani che vogliono dovrebbero essere messi nelle condizioni di farlo. È il primo Decreto rispetto alla Riforma del Terzo settore. La scorsa settimana invece il ministro Pinotti ha proposto il servizio civile obbligatorio. Il principio potrebbe essere interessante, ma oggi l’obbligatorietà, che ormai sembrava superata, diventa problematica: quando si è sospesa la leva obbligatoria è stata salutata come una novità significativa, una scelta di libertà contro il vincolo dello Stato. Adesso reintrodurla provocherebbe difficoltà ad essere compresa. Quindi credo che un servizio civile obbligatorio che si impone dall’alto vada sostenuto dal punto di vista culturale. Infatti c’è un problema a monte: qual è la dinamica di relazione tra il cittadino e lo Stato in particolare nel dovere di difendere la Patria. Occorre creare le condizioni perché la gente si senta appartenere e quindi partecipe, e si assuma la responsabilità di costruire la città.
Quali sono i principali problemi che individua nel servizio obbligatorio?
Innanzitutto siamo in grado di garantire a tutti i giovani di poterlo fare? Mi riferisco alla dimensione gestionale, perché mettere in campo organizzativamente un’offerta per un numero così alto di persone non è così semplice, soprattutto se vogliamo che questa esperienza sia educativa e di crescita. Bisogna perciò fare proposte serie con una capacità progettuale e di accompagnamento. Questo vuol dire un investimento di risorse umane ed economiche non indifferenti. Quindi sarei ben felice se ci fosse questa volontà di investimento dello Stato nei confronti del mondo giovanile nel creare percorsi che possono portare a sperimentare la cittadinanza e sentirsi responsabili. Però non mi sembra che in questo momento le risorse economiche e le scelte politiche di indirizzo dell’economia puntano a questo tema, sono altre le priorità.
Un servizio che oggi già riscuote un certo successo viste le 100 mila domande annue, anche se il bando ne ammette solo la metà…
Infatti. La settimana prossima dovrebbe essere pubblicato il nuovo bando sul servizio civile nazionale con 50 mila posti. Parlare di obbligo vorrebbe dire un impiego di 500 mila giovani all’anno. Da un lato oggi abbiamo più domande rispetto ai posti, anche se il sistema non ci permette sempre di riuscire ad abbinare tutti i posti alle richieste, perché ci sono sproporzioni tra Nord e Sud d’Italia. Il sistema attuale si basa su una progettazione degli enti, che devono fare le selezioni. Spesso chi arriva non sempre ha le capacità e i requisiti per poter fare quel tipo di esperienza.
In ogni caso è una scelta positiva e consapevole…
In questi anni tantissimi giovani scelgono il servizio civile per una dimensione di libertà personale. Poi si rendono conto che si passa dalla libertà alla consapevolezza della responsabilità nei confronti del bene comune. È un percorso che avviene con l’accompagnamento che gli enti mettono in campo sia con la formazione sia nel servizio. Se oggi si chiede a un giovane che ha fatto il servizio civile nel 95% dei casi lo rifarebbe e lo consiglia. Se invece si chiede a chi non lo sta facendo, nessuno direbbe di volerlo fare perché non sa cosa sia. In concreto lo Stato, le organizzazioni, la società, i media valorizzino questa esperienza e la facciano conoscere ai giovani. Inoltre il servizio civile può essere oggi un rito di passaggio tra l’età giovanile e quella adulta, dall’età della libertà e dell’egocentrismo adolescenziale alla consapevolezza della responsabilità di un’età più matura.