Non c’è che dire, il ministro dell’Istruzione, Chiara Carrozza, sta facendo (dicendo, per ora) quello che non ci si aspetterebbe. Sembra cioè seminare sano buon senso, cosa piuttosto rara in una politica che ci ha abituati ai voli pindarici (è un eufemismo) e alle corse in avanti quando non alle vere e proprie boutade accalappia-consensi (più immaginari che reali, alla fine).
Ma veniamo al ministro. Dopo la prima “pillola” di saggezza sulla necessità di dare priorità all’edilizia scolastica, concetto ribadito a più riprese e per il quale ha cercato già primi passi operativi, ecco che intervenendo ad “Agorà”, su RaiTre, afferma che l’Italia ha «un sistema scolastico che si basa sul servizio pubblico», del quale fanno parte scuole gestite dallo Stato e altre da “privati” – così recita la legge del 2000 -, scuole “paritarie” che, a determinate condizioni, offrono un servizio pubblico. Ebbene – continua il ministro – «è un sistema su cui investiamo pochissimo ma che rende tantissimo, perché ci aiuta a dare un servizio a chi ne ha bisogno».
Il dato è noto e per rinfrescarlo, ecco come lo riassumeva Luisa Ribolzi sul Sole 24 Ore a fine maggio: «Dal punto di vista dei costi, limitiamoci alle scuole materne. Oltre duemila comuni italiani (circa uno su quattro) hanno formalizzato accordi con le scuole materne paritarie, e ospitano quest’anno circa 650mila bambini, quasi il 45% del totale. Un “posto bambino” nella scuola dello Stato costa ai cittadini circa 6.500 euro l’anno, e il contributo dello Stato per le scuole paritarie è di 425 euro, il che significa che i 650.000 bambini “paritari” ci costano come 42.500 bambini “statali”.
A guardare meglio, secondo i dati pubblicati dall’Agesc, l’associazione genitori scuole cattoliche, nel 2012 uno studente statale costava in media ai cittadini 7.319 euro contro 476 di uno studente paritario. «Con il massimo differenziale nella scuola secondaria di secondo grado – annota ancora Ribolzi – in cui i valori sono rispettivamente 8.108 e 47 (avete letto bene: 47, due pizze, due birre e due caffè)».
Coraggioso il ministro. La questione “paritarie” è di quelle che sollevano furori ideologici e anche se i dati sono sotto gli occhi di tutti, da anni, in parecchi hanno sempre preferito far finta di niente, lasciando alimentare i pregiudizi sulla “scuola dei ricchi” e contrapposizioni ormai superate. Come se sostenere in modo adeguato le “paritarie” – secondo la legge, intendiamoci – significhi necessariamente affossare la “scuola pubblica” (da leggersi: “statale”).
Ecco ancora Chiara Carrozza: «In questo momento di crisi non possiamopensare e agire solo ideologicamente». E questo naturalmente non vuol dire «che lo Stato non deve investire sulla scuola pubblica, su cui dobbiamo avere un piano a lungo termine per creare e costruire nuove scuole».
Buon senso, merce rara. E un passo avanti. Ora, dopo le parole, servono i fatti.