Ci siamo: è tempo di iscrizioni alle scuole. Da qualche giorno, precisamente dal 21 gennaio, fino al prossimo 28 febbraio, sono aperte le iscrizioni alle prime classi delle scuole primarie e secondarie.
La novità di quest’anno è che le iscrizioni si potranno fare esclusivamente in modalità on line. Si tratta di un’innovazione che dovrebbe far risparmiare risorse e snellire le procedure burocratiche. In realtà, non pochi addetti ai lavori, come l’associazione di presidi Disal, aveva saggiamente chiesto cautela nel rendere obbligatoria tout court l’iscrizione telematica. Secondo l’associazione sarebbe stato più prudente mantenere per quest’anno un sistema misto, on line e cartaceo, come peraltro era già stato previsto per le scuole paritarie.
In questi primi giorni c’è stata la corsa a iscriversi e vi sono stati contatti con il sito del Ministero molto superiori alle aspettative. Addirittura alcune famiglie si sono connesse poco dopo mezzanotte pensando di acquisire una presunta, ma inesistente precedenza. Il risultato è stato che il sistema è andato in palla e per alcune ore è stato impossibile accedere sul modulo on line. Il Ministero su questo era stato chiaro e aveva precisato che la data di presentazione della domanda di iscrizione on line non avrebbe rappresentato un requisito di priorità nell’accoglimento della stessa da parte della scuola. Evidentemente l’ansia di un passaggio così delicato come l’iscrizione dei nostri figli a scuola, aveva reso queste parole vane. O forse, più semplicemente, del Ministero non ci si fida molto.
La scelta della scuola, negli ultimi anni, ha acquisito un’importanza ancora più rilevante. Sempre più famiglie si informano, partecipano ai vari open day, cercano di capire quale scuola sia più adatta ai propri figli. Vogliono avere tutto sotto controllo, scegliere possibilmente la sezione, gli insegnanti e, perché no? anche i compagni. Nel mio liceo, mi è capitata addirittura una famiglia che ha preteso di conoscere il preside, il suo indirizzo pedagogico, le sue idee, prima di scegliere la scuola. Infatti sono stato sottoposto a una specie di terzo grado…
La scelta della scuola superiore è importante perché determina, nel bene e nel male, l’orientamento che i nostri figli perseguiranno negli anni a venire. In qualche modo delinea una strada, un percorso e una meta. Il grande Seneca sosteneva che solo avendo ben chiaro il porto di destinazione si può capire quali siano i venti favorevoli e quali contrari. Verissimo, però non bisogna esagerare: a 13 anni a malapena si sa ciò che si vuole fare il giorno dopo, figuriamoci se si ha in mente «quello che si vuole fare da grande». Certo, per i genitori è più facile, hanno le idee chiarissime e vorrebbero tutti per i propri pargoli un futuro come medico, professore, ingegnere e poco altro. Il percorso quindi dovrebbe essere segnato: scuola superiore, possibilmente un liceo e poi l’università. Naturalmente con laurea magistrale.
Su questo passaggio della vita, e in genere su tutte le vicende scolastiche, è incredibile come i genitori investano emotivamente. Per esempio spesso interpretano i voti come un giudizio sulle capacità del figlio e non semplicemente come misurazione della loro prestazione scolastica in quel momento. Il brutto voto poi determina un tale coinvolgimento ansioso che mette in crisi addirittura le capacità genitoriali. Si riducono situazioni complesse alla semplice equazione: mio figlio va male a scuola, dunque non sono stato un bravo genitore. E quando si verifica una differenza significativa tra le aspettative di noi genitori, trasmesse anche inconsapevolmente ai nostri figli e i loro risultati scolastici, il disagio e la sofferenza si amplificano. Le relazioni familiari si complicano e mettono in crisi un po’ tutto.
Proviamo a pensare come accogliamo a casa i figli che tornano da scuola. Non è forse vero che, prima ancora che si siano seduti a tavola, abbiamo già chiesto un paio di volte e in tono apprensivo: «Allora come è andata oggi a scuola?». Capisco questa richiesta fatta al bambino di una scuola primaria, ma a uno studente del liceo, no, proprio no. Almeno nei toni ansiosi e incalzanti a cui ci siamo abituati. Mi raccontava uno studente di terza liceo classico, ormai maggiorenne, che la mamma non riusciva a contenere il proprio stato ansiogeno e non aspettava neppure il suo rientro a casa. Appena terminate le lezioni cominciava l’interrogatorio con un messaggio sul telefonino con la fatidica domanda: «Come è andata?». A cui lo studente, giustamente, non rispondeva.
Nel vivere allora la scelta della scuola superiore, partirei da qui, dalla necessità di contenere l’ansia e le preoccupazioni. Cerchiamo di essere il più possibile sereni e di far vivere ai nostri figli questa scelta come un momento gioioso e condiviso. È una scelta importante, ma non è la scelta della vita. Senza appello. Non bisogna esagerare. Non bisogna pensare che questa scelta sia immodificabile nel tempo. Ci possono essere ripensamenti e riorientamenti più maturi. Certo, meglio evitarlo. Per questo è importante che la scelta non la facciano i genitori, condizionati dalle loro alte aspettative, ma la facciano i figli.
Sappiate peraltro che gli adolescenti di questa età non vogliono più che siano i genitori e in genere gli adulti a suggerire decisioni. Vogliono sentirsi protagonisti delle loro scelte. Loro conoscono bene quello che sanno fare o che vorrebbero fare, più di quello che ci danno a credere. Hanno ben chiaro le loro potenzialità e anche i loro limiti. Hanno avuto almeno otto anni di scuola per capirlo e i loro insegnanti l’hanno pure scritto nel consiglio orientativo. Allora diamo retta a questo, diamo credito al consiglio orientativo degli insegnanti della scuola media, anche quando è difforme da quello che desidereremmo. Se vogliamo davvero il bene dei nostri figli, dobbiamo avere il coraggio di guardare la realtà e lasciare che seguano la loro strada. Solo così potranno trovare la scuola adatta a loro e, forse, con il successo scolastico anche la felicità.
Chiudo con una storiella personale: quando mi si è rotto il lavandino di casa, vi garantisco che la persona più preziosa in quel momento era un idraulico (introvabile), non l’amico filosofo. Questo al massimo mi avrebbe potuto fare l’esegesi della parola lavandino, certo non ripararlo.