A partire da marzo 2016 la Rotta balcanica è stata dichiarata ufficialmente chiusa. In realtà il flusso di persone che ha attraversato questo corridoio migratorio, non si è mai interrotto.
In particolare a partire dal 2018 la Bosnia Erzegovina è diventata un collo di bottiglia per migliaia di persone che aspirano a entrare in Croazia e dà lì, nei Paesi Schengen, quindi in Europa. Il risultato è che i campi profughi bosniaci non riescono più a contenere il numero crescente dei loro ospiti. Migliaia di uomini, donne e bambini in fuga da guerre conducono esistenze sempre più precarie. Spinti dalla disperazione, alcuni mettono a repentaglio la propria vita attraversando le frontiere. Altri subiscono violenze e soprusi. Che cosa possono fare l’Ue e gli Stati membri per affrontare questa crisi alle porte dell’Europa?
Se ne parlerà venerdì 25 settembre, dalle 10 alle 12, durante il webinar «La Rotta balcanica: dentro o fuori l’Europa?». Interverranno Luciano Gualzetti (direttore Caritas Ambrosiana), Maurizio Molinari(direttore dell’Ufficio a Milano del Parlamento Europeo), Massimo Gaudina (capo della Rappresentanza a Milano della Commissione europea), Patrizia Toia (europarlamentare), Eleonora Evi (europarlamentare), Sergio Malacrida (responsabile Asia e Est Europa di Caritas Ambrosiana), Katarina Modic (responsabile Area Accoglienza, Fondazione Caritas Trieste). Modererà l’evento Paolo Lambruschi, giornalista di Avvenire. L’incontro è realizzato nell’ambito del progetto MIND cofinanziato con il supporto dell’Unione europea e in collaborazione con l’Ufficio di Milano del Parlamento europeo.
Caritas Ambrosiana, in collaborazione con Caritas Italiana, Ipsia Acli e il network delle Caritas locali, è impegnata lungo la Rotta balcanica sia con programmi di emergenza (distribuzione di aiuti umanitari ai migranti in transito o in sosta), sia con interventi pensati per il medio periodo (strutture per accoglienza diffusa, una mensa per la preparare pasti caldi per l’inverno). Inoltre svolge attività psico-sociali con personale qualificato cui si aggiungono i volontari durante l’estate.
Nei campi profughi in Serbia e Bosnia, in questi anni, sono state aiutate decine di migliaia di donne, bambini, famiglie: l’ascolto e la relazione, che sono il fondamento della presenza, hanno costruito legami e hanno facilitato il racconto, spesso drammatico, dei respingimenti violenti lungo la frontiera ungherese e croata.