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Sirio 16 - 22 dicembre 2024
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Testimonianza

Il parroco di Gaza: «Qui entrano le armi, ma non il cibo: i bambini muoiono di fame»

Padre Romanelli: «Gaza è un girone dantesco, dove la popolazione si muove tra cumuli di macerie e montagne di spazzatura, fogne rotte e miasmi che salgono dai corpi rimasti sotto le rovine». Con papa Francesco contatti telefonici ogni giorno.

di Daniele RocchiAgenSir

12 Marzo 2024

«Gaza è un girone dantesco. La popolazione si muove tra cumuli di macerie, montagne di spazzatura, fogne rotte che sversano liquami ovunque. L’umidità provocata dalla pioggia, alternata al sole, alimenta nell’aria i miasmi provenienti dai corpi in decomposizione rimasti sotto i resti delle abitazioni bombardate. Sono stimate in almeno 8mila le vittime ancora sotto le macerie in tutta la Striscia».

Padre Gabriel Romanelli, parroco dell’unica parrocchia cattolica di Gaza, intitolata alla Sacra Famiglia, situata nel quartiere al-Zaitoun di Gaza city (nord della Striscia) descrive così al Sir la situazione all’interno della Striscia. Il parroco è a Gerusalemme, bloccato dallo scoppio della guerra, e nonostante i suoi tentativi per farvi ritorno, non riesce ad ottenere il permesso da Israele per riabbracciare i suoi parrocchiani tutti sfollati all’interno delle strutture parrocchiali. Attualmente la Sacra Famiglia ospita circa 600 cristiani, tra cattolici e fedeli ortodossi della vicina parrocchia greco-ortodossa di San Porfirio. I contatti con il suo vice padre Youssef Asaad sono pressoché continui così come quelli di Papa Francesco che, conferma padre Romanelli, «tutti i giorni nel tardo pomeriggio chiama la parrocchia per sincerarsi delle condizioni dei cristiani ospitati e per pregare per loro. Ha chiamato anche quando la sua voce era debole».

Padre Romanelli, parroco di Gaza

I bambini muoiono di fame

«Le voci di una tregua che si allontana sempre di più hanno ulteriormente fiaccato lo spirito dei gazawi che a questo punto non sanno cosa altro attendersi, se non l’invasione di Rafah. Appare chiaro ai loro occhi l’intenzione di Israele di andare avanti con i combattimenti», spiega padre Romanelli che ribadisce l’urgenza di alleviare la sofferenza della popolazione civile: «Tutti i camion carichi di aiuti umanitari in attesa al confine con l’Egitto dovrebbero entrare subito così da permetterne la distribuzione».

L’idea paventata da Usa e Gran Bretagna di allestire un porto navale a ridosso di Gaza, attraverso il quale far transitare nella Striscia, gli aiuti umanitari, secondo il religioso, sarebbe buona ma il problema è che questo porto sarebbe operativo non prima di circa due mesi. A Gaza, invece, la gente sta morendo adesso. Nella Striscia arrivano le armi ma non il cibo e le medicine per la popolazione che soffre. «I bambini stanno morendo di fame. Ne sono morti già 27. Le soluzioni vanno date adesso e non fra due mesi. Così i bambini sono condannati a morte».

Parole che si aggiungono a quanto denunciato oggi, primo giorno di Ramadan, dall’Unicef su X: «A Rafah ci sono 600mila bambini, terrorizzati da ciò che li aspetta. Dallo sfollamento, alla minaccia di bombardamenti, alla fame e alle malattie, molti stanno soffrendo l’inimmaginabile e ora sono intrappolati in uno spazio sovraffollato con la morte sempre più vicina. Non c’è posto sicuro in cui andare per i bambini a Rafah, ma c’è una via d’uscita dall’incubo: fermare la guerra. Rilasciare gli ostaggi. Porre fine all’uccisione dei bambini».

Pace sempre possibile, ma poco probabile

«I cristiani della parrocchia – ricorda il parroco di origini argentine – pregano ogni giorno per il cessate il fuoco, per la tregua, per la liberazione degli ostaggi, come viatico per una pace che tutti a Gaza vogliono. Siamo grati al Patriarcato latino e al patriarca, card. Pierbattista Pizzaballa, per tutto l’impegno che stanno mettendo in campo per sostenere materialmente e spiritualmente i nostri cristiani nonostante le tante difficoltà oggettive sul campo. Grati anche per i suoi tentativi di trovare canali aperti di dialogo per raggiungere almeno una tregua».

Padre Romanelli crede sempre nella pace ma la sua speranza deve fare i conti con un “inevitabile realismo”: «Se mi si chiede se la pace è possibile rispondo di sì ma oggi è poco probabile a guardare ciò che sta avvenendo. Vero anche che la comunità internazionale, già da tempo, preme perché si arrivi alla fine delle ostilità, alla liberazione degli ostaggi, allo sblocco degli aiuti umanitari. Tantissimi civili innocenti, uomini, donne, bambini, anziani stanno pagando il conto di questa guerra. Aggiungo la mia voce a quella del mondo per una tregua permanente e per un cessate il fuoco immediato».