«Questo è un momento molto particolare. Infatti, a differenza del recente passato, la crisi causata dalla pandemia non è solamente sul lato dell’offerta, com’è accaduto nelle ultime crisi finanziarie, ma anche della domanda, a causa del lockdown. Tuttavia, gli indicatori principali, grazie anche al buon esito che sta avendo la campagna vaccinale, indicano già una ripresa. Oltre alla crisi, però, il Covid ha messo in evidenza le debolezze della società così come eravamo abituati a conoscerla e di ciascuno di noi ». È questa la premessa dalla quale parte il rettore dell’Università Bocconi, Gianmario Verona, analizzando il momento presente e la necessità di progettare il futuro e di ripartire con una visione più ampia di quella unicamente economica. Affinché l’emergenza in cui abbiamo vissuto per oltre 15 mesi si trasformi in «un’occasione» di crescita, per usare un’espressione dell’Arcivescovo.
Perché è una crisi fondamentale, se ne usciremo, forse, con più velocità e facilità rispetto a quelle del passato?
La nostra idea di globalizzazione è stata molto estrema, sembrava quasi senza soluzione di continuità dal punto di vista della crescita a livello internazionale. Una globalizzazione che la pandemia ha dimostrato non essere sostenibile dal punto di vista del’equità sociale, in primo luogo, e da quello ambientale a causa del cambiamento climatico in gran parte determinato dalle attività umane. La globalizzazione necessità oggi di correttivi. Il Next Generation EU Fund rappresenta la risposta europea alla crisi che stiamo vivendo, ma anche una nuova idea di società globale e coesa. Abbiamo riscoperto in un certo senso la nostra fragilità, ma siamo riusciti a reagire.
In questa logica di riconoscimento dei nostri limiti, qual è il ruolo che possono svolgere le Accademie e, quindi, le Università?
Formare le nuove generazioni è una responsabilità importante. Dobbiamo continuare a farlo prestando attenzione a coltivare il loro spirito critico, ad aprire la loro mente grazie all’interdisciplinarietà. Dobbiamo coltivare la loro innata sensibilità ai temi della sostenibilità e dell’inclusione. Dobbiamo fornir loro gli strumenti per vivere nell’economia digitale e data-driven. Le università devono fornire una formazione che mi piace descrivere come una T: verticale, ma allo stesso tempo orizzontale, in grado cioè di collocare la propria competenza specialistica in una visione più ampia e strategica. Dobbiamo cioè formare delle persone a tutto tondo e non dei tecnici superspecializzati.
Il Discorso alla Città 2020 è intitolato “Tocca a noi, tutti insieme”. È evidente che mai come adesso occorre un cammino condiviso, equo, di libertà e responsabilità. La sostenibilità sociale d’impresa, per esempio, è sempre più diffusa. Qual è la prima sfida da affrontare?
I temi ESG devono diventare strategici per un’azienda e non essere relegati alle funzioni di Corporate social responsability. Devono cioè guidare le scelte di una società e non essere semplicemente un elemento di comunicazione. Bisogna cioè partire dall’uomo e dal valore stesso del lavoro. E per farlo dobbiamo imparare a cavalcare la quarta rivoluzione industriale, quella digitale. Questo vuol dire non solo investire in tecnologie, ma soprattutto in cultura digitale. La pandemia ha messo in evidenza quanto il digitale possa essere nostro alleato, a partire dalla Dad che, seppur con i suoi limiti, ha permesso a milioni di studenti nel mondo di continuare a imparare. Grazie al digitale abbiamo continuato a fare acquisti, a restare in contatto con amici e parenti. Questo a livello personale. A livello industriale la rivoluzione digitale si traduce in una revisione completa del processo produttivo e organizzativo. Questo implica sviluppare nuove competenze. Il digitale, infine, si è dimostrato uno strumento importante di inclusione e democratizzazione. La società che dobbiamo ricostruire deve ripartire da questo e nel farlo non deve lasciare indietro nessuno.
Si parla tanto di Recovery Fund. Come recuperare non solo economicamente, ma anche dal punto di vista del senso della vita, e come indicarlo ai giovani?
Ritengo che sia importante cercare di lavorare molto sul senso di fragilità che la pandemia ha reso evidente. Le generazioni attuali – anche chi non è più giovane – non hanno avuto la sfortuna di vivere una guerra: tuttavia questo momento è, economicamente e umanamente, assimilabile a una guerra per il numero di morti, per la situazione a cui siamo stati costretti. Bisogna riflettere su questo perché è un passaggio rilevante a livello individuale e, per chi crede, anche dal punto di vista spirituale, perché valorizza aspetti della vita che la materialità del mondo moderno ha posto in secondo piano. Da qui occorre ripartire, cercando di impostare dimensioni e modelli progettuali legati a una crescita positiva e non endemica, finalizzata solo al profitto, alla ricchezza di alcuni e non di tanti.