Come ogni anno, l’Arcivescovo di Milano ha parlato alla città. Come ogni anno non si è rivolto soltanto ai milanesi, ma a tutti gli italiani. E come ogni anno ha deciso di toccare i temi della civiltà europea e delle tante crisi che sta attraversando, da quella economica a quella identitaria.
Le crisi dell’Europa di oggi sembrano piuttosto giovani, frutto di dinamiche recenti, ma nel discorso del Cardinale è evidente come queste abbiano radici ben più profonde, da ricercare nel modo in cui i padri fondatori dell’unità europea hanno impostato un progetto tanto ambizioso. Ci appare infatti definitivamente tramontata la loro idea di una integrazione “funzionalista”. Difficile illuderci oggi che possa davvero realizzarsi quell’integrazione graduale che, procedendo da pochi ambiti ristretti, porti alle soglie degli Stati Uniti d’Europa.
Un primo duro colpo a tale approccio è stato assestato dalla lunga crisi economica in cui è sprofondata l’Europa, vanificando le promesse di benessere crescente che erano state alla base dei successivi allargamenti. La risposta securitaria e spesso intollerante, data da molti partiti europei alla crisi migratoria, ha poi fatto emergere con forza dirompente ed esplosiva tutte le debolezze del progetto originario. L’Europa di oggi non è più uno spazio di prosperità, tolleranza e solidarietà, un esempio per il mondo. È un’Europa insicura, che alza vecchi e nuovi muri e si richiude su se stessa. Al suo interno crescono e si accentuano le disuguaglianze, e i suoi cittadini si dimostrano sempre più distanti da un ideale che ai loro occhi non ha mantenuto le promesse fatte.
Di fronte alla crisi del progetto europeo, ritrovare il bandolo della matassa non è facile. Possiamo tuttavia ripartire da due punti fermi. Innanzitutto, citando Romain Rolland, Scola esorta i milanesi a coniugare «il pessimismo dell’intelligenza con l’ottimismo della volontà». Un approccio più positivo e costruttivo richiede a tutti di anteporre la ragione alla paura, i numeri veri alla demagogia. Anche di fronte all’emergenza migranti e alle polemiche che imperversano, bisogna mantenere i nervi saldi e continuare a ragionare con la testa più che con la pancia. I dati ci dicono infatti che, malgrado i continui sbarchi, l’Italia non è invasa dai migranti, e che la sfida dell’accoglienza potrà essere vinta se ogni Regione e ogni Comune faranno la propria parte.
In secondo luogo, bisogna ripartire dal basso. L’integrazione europea fallisce quando ai progetti comuni non si affianca la costruzione di una vera e forte identità, al tempo stesso locale, nazionale ed europea. Un’identità capace di resistere agli attacchi incrociati dei movimenti anti-establishment e dei nazionalismi reazionari. Ma anche un’identità complessa, che ha bisogno dell’impegno di tutti per essere creata, conservata e difesa. Se invece ciascuno cede alla paura e alla sfiducia, è inevitabile che il progetto europeo collassi su se stesso.
Il messaggio del Cardinale giunge in un momento critico per l’Italia. Un momento in cui chi si limita alla protesta guadagna consensi, mentre chi tenta di dare risposte affonda. Ma proprio per questo le parole dell’Arcivescovo risuonano quanto mai alte: per uscire dalle secche e affrontare le sfide dobbiamo «assumerci tutti, fino in fondo, la responsabilità del futuro dell’Europa».