Un popolo variegato di associazioni, cooperative sociali, del mondo del volontariato dalla Lombardia alla Sicilia protagonisti della trasformazione da beni in mano alle mafie a beni comuni e condivisi. In occasione dell’anniversario della legge n. 109/96 per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie, Libera ha censito le esperienze di riutilizzo sociale dei beni confiscati (vedi qui i dati).
Libera ha elaborato i dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (al 22 febbraio 2024) dove sono 22.548 i beni immobili (particelle catastali) destinati ai sensi del Codice antimafia (+14% rispetto al 2023), mentre sono in totale 19.871 gli immobili ancora in gestione e in attesa di essere destinati. Sono invece 3.126 le aziende destinate (+77% rispetto al 2023), mentre sono 1.764 quelle ancora in gestione.
In Lombardia sono 1.590 i beni immobili (particelle catastali) destinati, mentre sono 1552 gli immobili ancora in gestione e in attesa di essere destinati. Sul lato delle aziende, in Lombardia sono 135 le aziende destinate, mentre sono 238 quelle ancora in gestione.
In Lombardia sono 151 le diverse realtà impegnate nella gestione di beni confiscati alla criminalità organizzata in 74 Comuni. Una rete di esperienze in grado di fornire servizi e generare welfare, di creare nuovi modelli di economia e di sviluppo, di prendersi cura di chi fa più fatica. In Italia sono 1065 (+7,4% rispetto scorso anno) i soggetti diversi impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, ottenuti in concessione dagli Enti locali, in 20 Regioni e in 383 Comuni. Libera con la ricerca «Raccontiamo il bene” – Le pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie» vuole raccontare, dopo ventotto anni, il Belpaese, dove, in silenzio, opera una comunità alternativa a quella mafiosa, che lavora e si impegna a realizzare un nuovo modello di sviluppo territoriale.
Un fronte variegato
In Lombardia, dai dati raccolti attraverso l’azione territoriale della rete di Libera emerge che più della metà delle realtà sociali è costituita da associazioni di diversa tipologia (82), mentre sono 40 sono le Coop sociali e consorzi di cooperative. Tra gli altri soggetti gestori del terzo settore, ci sono 7 realtà del mondo religioso (parrocchie e Caritas), 1 gruppo dello scoutismo e infine 8 fondazioni. Nel censimento non sono compresi i beni immobili riutilizzati direttamente per finalità istituzionali dalle amministrazioni statali e locali.
Nella ricerca Libera ha ricostruito la tipologia di immobili gestiti dai soggetti gestori; in molti casi la singola esperienza di riutilizzo comprende più beni confiscati, anche di tipologia catastale diversa. Sono 119 i soggetti gestori che svolgono le loro attività in appartamenti, a volte con box auto o con dei piccoli giardini; sono 7 le esperienze di gestione di terreni a uso agricolo, mentre sono 30 le esperienze che hanno in gestione delle ville fabbricate su più livelli e di varia tipologia catastale. Infine, 17 i locali commerciali: sono 135 i soggetti gestori le cui attività sono direttamente legate a servizi di welfare per la comunità; 22 si occupano di promozione del sapere, del turismo sostenibile. 9 sono nel settore agricolo e della produzione lavoro.
Segnali preoccupanti dalla politica
«Oggi, dopo 28 anni dall’approvazione della legge 109- commenta Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera – con 1065 soggetti della società civile organizzata che gestiscono beni confiscati, possiamo scrivere con convinzione che il primo obiettivo è stato raggiunto: i beni confiscati, da espressione del potere mafioso, si sono trasformati in beni comuni, strumenti al servizio delle nostre comunità. Più di 500 associazioni di diversa tipologia, oltre 30 scuole di ogni ordine e grado che usano gli spazi confiscati come strumento didattico e che incidono nel tessuto territoriale e costruiscono economia positiva. Un’economia che tutti noi possiamo toccare con mano e che cambia radicalmente le nostre vite. Poter firmare un contratto di lavoro vero, poter usufruire di servizi di welfare laddove lo Stato sembra non arrivare, poter costruire il proprio futuro nel mondo del lavoro: tutto parla di un Paese che ha reagito alla presenza mafiosa e che con orgoglio si è riappropriato dei suoi spazi. Dall’altro lato, raccogliamo segnali preoccupanti del mondo della politica: un attacco costante alle misure di prevenzione, tentativi di privatizzare i beni confiscati e piegarli alla logica dell’economia capitalista, una gestione delle risorse dedicate a oggi piuttosto confusionaria. Non possiamo accettare che ci siano passi indietro su questo. Le misure di prevenzione si sono dimostrate uno dei più importanti strumenti nella lotta alle mafie e alla corruzione, perché da subito hanno agito sul controllo economico e sociale con il quale i clan soffocano i territori».