Link: https://www.chiesadimilano.it/news/attualita/putin-e-il-ricatto-del-grano-748719.html
Sirio 01 - 10 novembre 2024
Share

Emergenza fame

Putin e il ricatto del grano

Il blocco delle spedizioni di grano e cereali dai porti del Mar Nero, causato dall’invasione russa in Ucraina, sta provocando la riduzione delle scorte e il conseguente allarme, soprattutto in Medio Oriente e Africa

di Daniele Rocchi Agensir

23 Giugno 2022
Foto Ansa / Sir

La guerra in Ucraina minaccia di provocare una crisi globale e di mettere a serio pericolo la sicurezza alimentare di moltissimi Paesi grazie anche all’effetto combinato di mutamenti climatici e pandemia da Covid-19. Secondo un’analisi della Coldiretti, basata su dati del Centro Studi Divulga, «con la guerra rischia, infatti, di venire a mancare dal mercato oltre ¼ del grano mondiale con l’Ucraina (nel 2020 quinto paese al mondo per esportazioni, ndr.) che insieme alla Russia controlla circa il 28% sugli scambi internazionali con oltre 55 milioni di tonnellate movimentate, ma anche il 16% sugli scambi di mais (30 milioni di tonnellate) per l’alimentazione degli animali negli allevamenti e ben il 65% sugli scambi di olio di girasole (10 milioni di tonnellate)». Le razzie di cereali sui territori ucraini occupati «riducono le scorte, aggravano l’allarme fame» e stanno provocando, per Coldiretti, un “effetto domino” sui «Paesi in crisi alimentare, oltre quelli già sull’orlo della carestia».

Corsa contro il tempo

Nel 2021, secondo stime della Fao, le persone colpite da grave insicurezza alimentare nel mondo hanno raggiunto la cifra di quasi 200 milioni, e i numeri sono destinati a crescere. L’Ucraina ha più volte denunciato il furto, da parte dei russi, di almeno 600 mila tonnellate di grano. Quattrocentomila di queste rappresentano circa un terzo di tutte le scorte di cereale degli oblast di Zaporizhzhia, Kherson, Donetsk e Lugansk. Le esportazioni dai porti ucraini sul Mar Nero sono ferme poiché la Russia non permette la creazione di corridoi se prima l’Ucraina non procede alla rimozione delle mine poste per evitare un’invasione russa via mare. Intanto si avvicina il tempo del raccolto, previsto per la fine di luglio (atteso un – 40% rispetto al 2021), e per questo si cerca di svuotare i magazzini dove è ancora stoccato quello del 2021. La stima parla di 22 milioni di tonnellate bloccate nei silos. Si tratta di una corsa contro il tempo che la Fao ha stabilito essere di circa 10 settimane.

In Medio Oriente

La cosiddetta “guerra del grano” sta evidenziando in modo drammatico «la vulnerabilità» dei Paesi mediorientali e dell’Africa. Il 40% della domanda africana di grano, già prima della guerra, era garantita dalle esportazioni di Russia e Ucraina. La mancanza di pane adesso potrebbe fare da detonatore all’instabilità politica e sociale di molti Paesi poveri e provocare migrazioni di massa.

Nell’area mediorientale chi potrebbe pagare forti conseguenze da questa carenza è l’Egitto che ogni anno spende circa 4,5 miliardi dollari per approvvigionarsi di grano da Russia e Ucraina. Il paese del presidente Al Sisi è il maggiore importatore di grano al mondo (13 milioni di tonnellate) e il quarto Paese importatore di mais (9,7 milioni di tonnellate). Il 60% degli egiziani vive in stato di povertà.

Conseguenze vistose del conflitto in corso in Ucraina si registrano anche Siria, storico alleato di Putin, dove più di 12 milioni di persone (oltre il 60% della popolazione totale) sono stimate vivere in condizioni di insicurezza alimentare, mentre sarebbero più di 14 milioni gli individui dipendenti dagli aiuti umanitari. Il Paese, già oggetto di sanzioni da parte della comunità internazionale, non ha fondi da spendere anche perché deve fare fronte ai debiti contratti con la Russia, entrata in guerra al fianco del presidente Assad. Il costo di beni come cibo, medicine e elettricità è ormai fuori controllo.

Equilibrio politico ed economico a rischio anche in Tunisia, Yemen, Libia e Libano, tutti dipendenti dalle forniture di grano dei due Paesi. Il Libano risulta particolarmente vulnerabile poiché ha alle spalle oltre due anni di crisi economica e finanziaria. Il suo fabbisogno di grano (circa 50 mila tonnellate di grano ogni mese, ndr), che proviene per il 66% dall’Ucraina e per il 12% dalla Russia, è stato acuito dall’esplosione del porto di Beirut del 4 Agosto 2020 che ha distrutto i silos che custodivano l’85% delle sue riserve di cereali. Mancano anche altri prodotti come olio da cucina e latte in polvere, sempre provenienti da Russia e Ucraina. I prezzi dei prodotti alimentari essenziali sono cresciuti del 20%. A pagare le conseguenze peggiori sono i palestinesi e i siriani che vivono nei campi profughi senza grandi mezzi di sussistenza, potendo contare solo sugli aiuti umanitari.

Africa e Asia

Aumento dei prezzi e crisi alimentare sono, anche in Africa, le principali conseguenze del conflitto in corso in Ucraina. Una ricerca globale di ActionAid, pubblicata di recente, mostra che in Etiopia il prezzo dei fertilizzanti è aumentato del 196% mentre in Somaliland il costo dell’olio è salito del 260%, quello del pane del 163%.

Nella regione del Corno d’Africa, colpita dalla peggiore siccità degli ultimi decenni, le famiglie pagano il doppio o il triplo di quanto pagavano per il cibo fino a pochi mesi fa. La malnutrizione infantile peggiora di giorno in giorno. Il rischio carestia è dietro l’angolo. L’ultima in Somalia ha provocato la morte di 250mila persone.

La guerra in Ucraina minaccia anche Pakistan, Indonesia e Afghanistan. Nel Paese asiatico metà della popolazione – 23 milioni di persone, tra cui 14 milioni di bambini – fa i conti con la fame. La sua dipendenza dalle importazioni di grano potrebbe farsi sentire ulteriormente attraverso l’aumento dei prezzi e del costo della vita.