«Quando penso cosa rappresenti Lampedusa per chi ci vive, mi viene sempre in mente l’immagine della nascita, sia perché a qualsiasi donna arrivi con i barconi viene chiesto se è incinta, sia perché, proprio come dopo una nascita, essere sopravvissuti significa riconciliarsi con la vita, come un bimbo che inizia a riconoscere un volto amico in chi tende una mano». Don Mimmo Zambito, parroco di Lampedusa dal 2013 al 2016, è a Milano, presso la Sala delle Assemblee di Ubi Banca per presentare il suo saggio Accoglienza pubblicato da In Dialogo nella collana “Parole per capire, ascoltare, capirsi”: 90 pagine che, davvero, aprono a una visione diversa dell’immigrazione, lontana da facili e scontati clichés.
Dopo il saluto di Riccardo Tramezzani (direttore della macro-area Milano Emilia-Romagna dell’istituto bancario), alla tavola rotonda moderata da Fabio Pizzul, coordinatore della collana, oltre a Zambito, partecipano il prefetto di Milano Luciana Lamorgese, il direttore di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti e la vicesindaco di Milano Anna Scavuzzo. Si parte dall’icona biblica scelta dall’autore per simboleggiare le ragioni e la spiritualità di ogni vera accoglienza: l’incontro tra il profeta Elia e la vedova di Sarepta di Sidone (commentata nel volume da don Bortolo Uberti). Milano sembra lontanissima da Lampedusa, con le sue immagini di tragedia, eppure il legame esiste ed è forte, come spiega il sacerdote siciliano: «C’è un rimando tra Milano “capitale”, capace di farsi accogliente, e Lampedusa che ha una prima vocazione di accoglienza. Se la nostra isola si trova “sulla strada”, e quindi non può tirarsi indietro, anche Milano non può che mettersi in gioco, proprio per la sua centralità simbolica e reale nel Paese». Il riferimento è alla manifestazione del 20 maggio scorso, quando nel capoluogo lombardo in 100 mila sfilarono per “Una città senza muri”.
Il prefetto
«Nel 2013 andai a Lampedusa come capo-gabinetto del Ministro degli Interni (quando nel tragico naufragio del 3 ottobre vi furono 368 morti, ndr) – ricorda Lamorgese -. Quella visita ha cambiato il mio modo di vedere. In un hangar immenso c’erano 368 persone a terra, tra cui una madre con il bimbo ancora attaccato al cordone ombelicale. Vedendo quei morti, si capisce che è gente che scappa da tragedie immani. Si distingue tra profughi e migranti economici, ma occorre fare un discorso di carattere generale, perché anche chi fugge, anche solo dalla fame, ha dei diritti».
Parla, il Prefetto, degli incontri promossi con i Sindaci dell’area milanese, nei quali ha trovato una disponibilità di base, «però ci vogliono regole certe. Per questo, per esempio, abbiamo autorizzato l’impiego dei profughi in lavori di pubblica utilità». Anche perché «non è vero che l’immigrazione porti il terrorismo, ma la mancata integrazione ha, certamente, un collegamento con la radicalizzazione: operare per l’accoglienza, visti i numeri, non basta: bisogna lavorare su un’integrazione culturale che passa dalla scolarizzazione dei bimbi e dall’impiegare il tempo di questa gente».
«Nel Protocollo d’Intesa per un’accoglienza sostenibile e equilibrata – continua Lamorgese – ho stabilito “regole di ingaggio” con i Comuni (anche il contributo di 500 euro a migrante per sostenerne il carico) e in Prefettura esiste un “Tavolo” per aiutare i Sindaci che non riuscissero a trovare spazi. Dopo i primi 76 Comuni che hanno firmato per accogliere, 4 se ne sono aggiunti e altri stanno lavorando in questo senso. La migrazione è un problema epocale: noi, come Italia, facciamo la nostra parte, l’Europa no. Siamo soli».
Il direttore di Caritas Ambrosiana
Gualzetti approfondisce il ruolo e l’impegno del Terzo Settore e della Caritas. «La Chiesa, oggi, ospita circa 1/5 delle persone arrivate, ma si occupa anche di quanti sono qui da tempo e che, magari, hanno già il permesso di soggiorno, mandano i figli a scuola e lavorano, proprio perché l’accoglienza non si esaurisce nel momento emergenziale. Gli immigrati, anche di lungo periodo, si sentono ancora stranieri: basti pensare a tutti i ragazzi che non hanno diritto di cittadinanza e che spesso vengono additati come stranieri, pur essendo nati in Italia… Forse dovremmo domandarci come mai il terrorismo recluta gente nelle seconde e terze generazioni e perché il meccanismo di integrazione non funzioni. La domanda è quale tessuto di convivenza stiamo costruendo. Se è vero che i 1/3 degli italiani afferma che bisognerebbe respingere tutti – dato aumentato del 19% nell’ultimo anno -, che il 48% ha paura degli immigrati e il 39% del terrorismo, si comprende che qualcosa bisogna fare».
Ma cosa? «Tutto questo sentire va affrontato in maniera diversa e, forse, i politici dovrebbero stare più attenti a come usano le parole. Bisogna chiedere ai soggetti coinvolti di fare bene la loro parte e, se alcuni meccanismi non offrono soluzioni gestibili, occorre cambiare le regole. La vera sfida è il mutamento di mentalità e di alcune condizioni di fondo. Pensiamo a ciò che non funziona nella legge Bossi-Fini…». Come a dire: di fronte a flussi ormai strutturali, ci sono cose che deve fare il Parlamento, «ma la vera sfida è coltivare una cultura diffusa».
La Vicesindaco di Milano
Parole cui fa eco Scavuzzo: «L’amministrazione del Comune non si è mai sottratta anche per la tradizione della nostra città, per quello spirito ambrosiano presente sul territorio, che fa rete tra laici e cattolici, pubblico e privato, singoli e associazioni, facendosi carico dei problemi. Sosteniamo, oltre la sussistenza immediata, ogni giorno, 3300 unità; quindi si è consolidato un percorso che ha, tuttavia, bisogno che anche la cittadinanza partecipi, costruendo quel contesto che fa comprendere ciò che sta succedendo. Oggi siamo in una seconda fase: consolidiamo reti di relazione perché il fenomeno sia maggiormente compreso, sostenuto e per trovare risposte istituzionali alle paure che sono reali. Tenendo insieme orizzonti ampi di umanità e di responsabilità, nel rispetto dei compiti istituzionali, promuovendo pragmatismo e idealità, possiamo essere efficaci su una strada che non possiamo evitare di percorrere».
Il suggello dell’incontro è ancora di don Zambito. «Lampedusa accoglie per ragioni geografiche ovvie, ma anche perché lo ha iscritto nel Dna dei suoi abitanti. Come potrebbe essere altrimenti per una terra dove ci si saluta con l’espressione o scià (o fiato mio), identificando l’altro con la parte più profonda di noi stessi? Credo che la sfida dell’immigrazione possa essere considerata, di fronte all’alfabetizzazione dell’accoglienza che ci domanda papa Francesco, come un modo profetico per rendere finalmente compiuto il Concilio, comprendendo il cambiamento dei tempi».