Alle 18.30 in punto, sulla piazza del Campidoglio, «cuore della città» di Roma, come l’ha definita il Papa «venuto dalla fine del mondo», è sceso il silenzio per un minuto, in ricordo delle vittime di tutte le guerre. Per raggiungerla, Francesco ha sceso insieme «al mio fratello Bartolomeo», come lo chiama da sempre, l’immensa scalinata della basilica dell’Ara Coeli, tanto cara alla devozione dei romani. L’uno accanto all’altro, l’uno vestito in bianco e l’altro in nero, il patriarca ecumenico di Costantinopoli aggrappato al suo bastone e il Santo Padre al corrimano esterno. Un esempio concreto di fraternità vissuta che prima hanno condiviso con i rappresentanti delle altre confessioni cristiane, pregando in basilica, e subito dopo con i leader delle grandi religioni mondiali che hanno preso parte all’incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio sul tema «Nessuno si salva da solo. Pace e fraternità».
Lo “spirito di Assisi”, a 34 anni dallo storico incontro convocato da San Giovanni Paolo II, è aleggiato anche nell’appello di pace con cui si è concluso l’incontro, consegnato da un gruppo di bambini agli ambasciatori e ai rappresentanti della politica nazionale e internazionale. E proprio alla politica si è rivolto Papa Francesco nel suo discorso dal palco: «Il mondo, la politica, la pubblica opinione rischiano di assuefarsi al male della guerra, come naturale compagna della storia dei popoli», la denuncia:
«Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Prestiamo attenzione ai profughi, a quanti hanno subito le radiazioni atomiche o gli attacchi chimici, alle donne che hanno perso i figli, ai bambini mutilati o privati della loro infanzia. Oggi, i dolori della guerra sono aggravati anche dalla pandemia del Coronavirus e dalla impossibilità, in molti Paesi, di accedere alle cure necessarie – incalza Francesco -. Mettere fine alla guerra è dovere improrogabile di tutti i responsabili politici di fronte a Dio».
«La pace è la priorità di ogni politica», tuona il Papa: «Dio chiederà conto, a chi non ha cercato la pace o ha fomentato le tensioni e i conflitti, di tutti i giorni, i mesi, gli anni di guerra che hanno colpito i popoli!. Quanti impugnano la spada, magari credendo di risolvere in fretta situazioni difficili, sperimenteranno su di sé, sui loro cari, sui loro Paesi, la morte che viene dalla spada». Il «basta» di Gesù «è una risposta senza equivoci verso ogni violenza»: un «basta!» che «supera i secoli e giunge forte fino a noi oggi: basta con le spade, le armi, la violenza, la guerra!». «Mai più la guerra!», il grido sulla scorta del discorso di San Paolo VI alle Nazioni Unite, nel 1965: «Questa è l’implorazione di noi tutti, degli uomini e delle donne di buona volontà. È il sogno di tutti i cercatori e artigiani della pace, ben consapevoli che ogni guerra rende il mondo peggiore di come l’ha trovato».
«Nessun popolo, nessun gruppo sociale potrà conseguire da solo la pace, il bene, la sicurezza e la felicità», ribadisce Francesco. E il pensiero corre a un’altra piazza, ma deserta e bagnata dalla pioggia, in cui il Papa il 27 marzo scorso aveva pregato, per la prima volta da solo, per la fine della pandemia.
«La fraternità, che sgorga dalla coscienza di essere un’unica umanità, deve penetrare nella vita dei popoli, nelle comunità, tra i governanti, nei consensi internazionali. Così lieviterà la consapevolezza che ci si salva soltanto insieme, incontrandosi, negoziando, smettendo di combattersi, riconciliandosi, moderando il linguaggio della politica e della propaganda, sviluppando percorsi concreti per la pace». A partire da un obiettivo raggiungibile imposto dalla pandemia, proposto come imperativo nell’appello di pace finale: «Uniamo già oggi gli sforzi per contenere la diffusione del virus finché non avremo un vaccino che sia idoneo e accessibile a tutti. Questa pandemia ci sta ricordando che siamo fratelli e sorelle di sangue».
Nessuno può salvarsi da solo, si legge ancora nell’appello: «Le guerre e la pace, le pandemie e la cura della salute, la fame e l’accesso al cibo, il riscaldamento globale e la sostenibilità dello sviluppo, gli spostamenti di popolazioni, l’eliminazione del rischio nucleare e la riduzione delle disuguaglianze non riguardano solo le singole nazioni. Lo campiamo meglio oggi, in un mondo pieno di connessioni, ma che spesso smarrisce il senso della fraternità». La tentazione da cui fuggire «è la tentazione di pensare solo a salvaguardare se stessi o il proprio gruppo», il monito dell’omelia papale dall’Ara Coeli: «Dio non viene tanto a liberarci dai nostri problemi, che sempre si ripresentano, ma per salvarci dal vero problema, che è la mancanza di amore. E’ questa la causa profonda dei nostri mali personali, sociali, internazionali, ambientali».