«L’intelligenza artificiale ci interpella perché tocca la vita delle persone, i legami sociali e disegna il futuro». Così don Andrea Ciucci, coordinatore della Pontificia Accademia per la vita e segretario generale della Fondazione vaticana RenAIssance, riflette sulla Nota Antiqua et nova (leggila qui) del Dicastero per la dottrina della fede e del Dicastero per la cultura e l’educazione, che approfondisce il rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana: «È un invito a servire l’umanità con umiltà e coraggio, per costruire un domani a misura d’uomo».
Uno degli obiettivi centrali della nota è riflettere sul rapporto tra intelligenza artificiale e intelligenza umana.
La questione nasce dalle parole che usiamo. Avendo definito una tecnologia “intelligenza”, il confronto con l’intelligenza umana è inevitabile. Tuttavia, come sottolinea la nota, questo parallelismo è, per certi versi, inadeguato, anzi è un debito concettuale. Dico sempre che abbiamo sbagliato parola fin dall’inizio. La gente si chiede: “Se è intelligente, allora è come me o diverso da me?”. La nota, e questa è una delle cose più belle, offre una visione straordinaria dell’intelligenza umana. Ci ricorda quanto sia meravigliosa la nostra capacità di stare al mondo e agire.
Ci sono alcune caratteristiche che differenziano l’intelligenza umana da quella artificiale?
Due aspetti sono particolarmente decisivi. Il primo è la corporeità: l’intelligenza umana è incarnata. Non esiste una mente senza un corpo e un cervello. Viviamo e pensiamo nel nostro corpo, a differenza dei sistemi digitali che, per quanto avanzati, rimangono separati da questa dimensione. Il secondo tratto è la relazionalità: l’intelligenza umana nasce, cresce e si sviluppa nelle relazioni. Questo aspetto, come sottolinea la nota, ha implicazioni importanti, in quanto ci richiama alla responsabilità verso il bene comune e la casa comune.
Negli ultimi anni, l’interesse della Chiesa verso l’intelligenza artificiale è cresciuto. Perché?
La Chiesa si interessa di questa tecnologia perché ha un impatto profondo sulla vita delle persone e sulle relazioni sociali. Come comunità cristiana, non possiamo ignorare strumenti che stanno disegnando il futuro prossimo. Non c’è preclusione verso l’intelligenza artificiale: ci interroghiamo con sano realismo, senza apocalittismi né irenismi, per capire come promuovere un uso etico e responsabile di queste tecnologie.
La nota affronta anche le implicazioni etiche dell’uso dell’intelligenza artificiale, nei diversi ambiti della vita.
La nota offre una panoramica articolata, evidenziando i rischi e i benefici delle tecnologie dell’intelligenza artificiale. Tra i rischi, si citano gli effetti sociali, ecologici e la mancanza di accountability. Tuttavia, viene anche mostrato quanto di positivo si possa fare, ad esempio, in ambito sanitario, educativo e per la sicurezza. È un equilibrio delicato, ma la responsabilità deve essere sempre al centro.
La corsa all’intelligenza artificiale è uno dei motori geopolitici?
C’è un’illusione diffusa che la tecnologia possa risolvere tutti i problemi. Questo genera logiche di competizione tra nazioni e attori globali. L’intelligenza artificiale, essendo globale e veloce, dimostra però l’inadeguatezza di approcci nazionalistici. Non possiamo affrontare un fenomeno di portata mondiale con logiche del tipo “me first”. È necessario un dialogo a livello globale, anche se oggi le grandi istituzioni multilaterali, come le Nazioni Unite, vivono una crisi profonda.
C’è il rischio di creare disuguaglianze nell’accesso a queste tecnologie?
Non è solo un rischio, è già una realtà. Tecnologie che promettevano più giustizia e libertà stanno spesso aumentando le disuguaglianze. Dobbiamo vigilare affinché non diventino strumenti di esclusione, ma opportunità per promuovere dignità e uguaglianza.
La nota si chiude con una citazione di Giovanni Paolo II che richiama la questione essenziale: “Se l’uomo, come uomo, nel contesto di questo progresso, diventi veramente migliore, cioè più maturo spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperto agli altri, in particolare verso i più bisognosi e più deboli, più disponibile a dare e portare aiuto a tutti”.
Questa citazione riporta al centro la domanda fondamentale: il progresso tecnologico rende davvero l’umanità più umana? La nota vaticana non è un semplice invito a essere “più buoni”, ma un appello a un’azione seria e concreta. Come credenti, siamo chiamati a servire l’umanità con umiltà e coraggio, contribuendo al dialogo nei campi scientifico, politico e giuridico. Il nostro compito è abitare questi luoghi con responsabilità, al servizio del bene comune.