Continuano ogni domenica, con drammatica puntualità, le stragi di cristiani in Nigeria, seguite da rappresaglie. C’è la cinica scommessa di una guerra civile dietro la strategia di Boko Haram, la sigla del terrore islamista che ormai, domenica dopo domenica, abbiamo imparato a conoscere.
Ancora una volta la religione è utilizzata come pretesto di guerra. Preso atto di questo fatto, che purtroppo serpeggia a diverse latitudini, la risposta deve essere politica e istituzionale, come ha messo in evidenza il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, parlando di una situazione «orribile e inaccettabile». Bisogna che lo Stato tuteli tutti, a partire ovviamente dai cristiani, che in alcune zone della Nigeria sono minoranza, ma anche in quelle stesse zone non sono meno radicati nella cultura e nella vita del popolo dei musulmani. È infatti la storia a falsificare la semplificazione ideologica che vorrebbe i cristiani semplicemente espressione del cultural imperialism dell’Occidente. Affermata chiaramente questa verità storica, ne deriva la ferma richiesta della tutela, che è anche nell’interesse della comunità internazionale
Questo vale ovviamente dove l’emergenza è più intensa, come proprio nella fascia sub-sahariana, ma caratterizza oggi molte situazioni. Si pensi, per esempio, alla situazione ancora così precaria nel Kosovo, o nella Bosnia-Erzegovina, dove, dopo anni di convivenza, si è assistito parallelamente al collasso delle istituzioni e all’uso strumentale della religione. Per non parlare delle vicende dei Paesi mediorientali, pesantemente segnati dall’emigrazione forzata dei cristiani.
La logica feroce della “pulizia” etnico-religiosa, che sembra caratterizzare in modo perverso questi anni di globalizzazione dei mercati e di fine delle ideologie politiche, deve essere combattuta con tutti i mezzi. Bisogna tutelare dalla violenza, ma bisogna anche fare dei progressi culturali e politici. Sembra paradossale, ma sia dal punto di vista dell’affermazione ideale, sia da quello della concreta applicazione, il principio e il valore della libertà religiosa sembrano in questi anni avere sostanzialmente regredito.
Certo è difficile invertire la tendenza alla radicalizzazione, che è quella alla strumentalizzazione: serve, per questo, un grande investimento culturale, che forse deve cominciare proprio qui in Occidente. Giustamente il cardinale Scola ha sottolineato – in occasione dell’incontro della Fondazione Oasis a Tunisi – che la crisi dell’Occidente è anche una crisi dell’“universale religioso”. Le stragi ripetute in Nigeria, ma anche gli esiti così incerti delle “primavere” arabe avvertono che il tema classico dell’Occidente, il rapporto tra fede e libertà, è oggi una delle chiavi decisive del mondo contemporaneo. Di questa i grandi Paesi occidentali devono sapersi riappropriare per restituirla al mondo islamico anche attraverso un rinnovato e rimotivato dialogo tra i credenti. Che è una “necessità vitale” per tutti, oggi e domani, per disegnare strade di sviluppo, che sono anche di tenuta istituzionale, come si vede in Nigeria.