«Mi chiamo Nadav Kipnis e i miei genitori, Eviatar e Lilach, sabato mattina sono stati rapiti da Hamas nel kibbutz di Be’eri. Sia loro che io e mio fratello siamo tutti di nazionalità israeliana e italiana. Siamo cittadini italiani. Sono stati rapiti anche altri membri della mia famiglia: mio zio e mia zia da parte materna e la loro figlia, mia cugina, suo marito e i loro due figli, di tre e otto anni. E anche la sorella di mio zio e sua figlia, che ha 12 anni». Nadav parla lentamente, ma con voce chiara: «Sono ancora molto provato, questo non è un momento facile, ma sono sicuro che capirete le parole che mi escono dal cuore».
Cerca di raccontare quella tragica mattina di sabato 7 ottobre, quando i terroristi di Hamas hanno preso d’assalto molti kibbutz vicini al confine con la Striscia di Gaza. Tra questi quello di Be’eri, poco più di 1000 abitanti, diventato teatro di un massacro che ha lasciato a terra oltre cento corpi trucidati. «I miei genitori vivono nel Kibbutz Be’eri – racconta Nadav -, mia madre è nata lì. È un’assistente sociale, mentre mio padre da nove anni lotta contro una malattia autoimmune. È un artista e una persona straordinaria che purtroppo in questi ultimi anni non ha lavorato, si è dedicato alla sua salute. Sono legato all’Italia attraverso mia nonna paterna, nata in Italia. La famiglia di mia nonna era di Livorno e si è poi trasferita in Tunisia, e da lì in Israele».
Può ricostruire i fatti?
Sabato scorso i terroristi hanno attaccato molti kibbutz, in particolare il kibbutz Be’eri. Io non ero lì quella mattina. Abbiamo cercato di contattare i miei genitori per sapere cosa stesse succedendo. Eravamo certi che si trovavano nella safe room (stanza di sicurezza rinforzata, ndt) della loro casa, uno spazio sicuro che offre protezione dagli attacchi missilistici. L’ultimo contatto che abbiamo avuto con loro è stato con mio padre. Come accennato, a causa della sua malattia mio padre ha un badante che lo aiuta. Questa persona ha chiamato sua moglie la quale ha sentito che Hamas, i terroristi, stavano cercando di aprire la porta e questa è stata l’ultima volta che abbiamo avuto un contatto con loro. Successivamente siamo venuti a conoscenza delle atrocità che si sono verificate all’interno del kibbutz. Nello specifico, abbiamo un’applicazione che ci consente di comunicare senza bisogno di WhatsApp.
E cosa dicevano i messaggi?
La gente diceva che le loro case erano state bruciate, che vedevano persone sparare e altre che venivano rapite, chiedevano aiuto e altro ancora. Nello stesso momento, i terroristi hanno caricato un video della zona dove vivono i miei genitori, in cui si vedono persone che vengono trascinate via. Pensiamo che i miei genitori e gli altri abbiano subito la stessa sorte. Oltre a questo, abbiamo tentato di localizzare i loro telefoni cellulari e abbiamo visto che il telefono di mia madre non era a Be’eri. Qualcuno ha chiamato alcune persone dal telefono di mio padre e ha cancellato molti gruppi WhatsApp. Per quanto riguarda mio zio, abbiamo provato a fare il suo numero e qualcuno ci ha risposto dicendo con accento arabo: «Rapimento di Gilad Shalit» (il militare israeliano catturato da Hamas nel 2006 e “scambiato” nel 2011 con più di 1000 palestinesi detenuti nelle carceri di Israele, ndr). Alla luce di queste informazioni, abbiamo immediatamente ipotizzato che fossero stati rapiti. A tutt’oggi, infatti, non è giunta alcuna notizia che i nostri parenti siano tra i 108 morti ritrovati nel kibbutz. L’ultima cosa che sappiamo con certezza è che alcuni testimoni, sopravvissuti all’attacco, hanno riferito che il marito di mia cugina è stato visto mentre veniva legato con delle corde e portato via, quindi presumiamo che siano stati tutti rapiti. Inoltre, sappiamo che le case sono state bruciate e sono vuote, non c’erano cadaveri al loro interno.
Conosci le altre persone rapite nel Kibbutz?
Il Kibbutz è una comunità molto piccola, Be’eri è considerato il più grande della zona, siamo circa mille persone che si conoscono tutte. Io ho vissuto lì fin da piccolo, quindi conosco tutti i volti delle persone rapite. In particolare, nella mia famiglia ne sono state rapite 11.
Vivendo al confine con Gaza, in una zona sotto costante attacco dei razzi di Hamas, ha mai avuto il presentimento che potesse accadere qualcosa di così grave? Si aspettava un atto terroristico di questa portata?
Quando sabato siamo stati svegliati dal suono delle sirene a Beersheva, pensavamo che fosse un “fatto normale”, ovvero che fossimo attaccati dai razzi, e abbiamo pensato – e so che suona paradossale -: «Va tutto bene». Ho scritto ai miei genitori che non era niente di grave e non abbiamo guardato i telegiornali. Quando abbiamo iniziato a renderci conto di quanto stava accadendo dai messaggi e dalle chat, non potevamo crederci. Penso che nessuna persona di buona coscienza possa aspettarsi azioni di tale atrocità. Terroristi che uccidono bambini davanti ai loro genitori e che uccidono genitori davanti ai loro bambini. L’ultima volta che questo è accaduto nella storia dell’umanità che la mia nazione ricordi è stato durante l’Olocausto. Nessuno può mai immaginare una cosa del genere, nemmeno nei suoi peggiori incubi. Sapere che dei bambini che una volta erano nella mia casa, che giocavano insieme a me, ora sono morti… Non trovo le parole per descrivere quello che provo.
In Israele in questi giorni si parla molto di una “falla” nel sistema di sicurezza: come è potuto accadere?
Non sono un politico, mi fido del mio governo. So che in questo momento il tema della sicurezza è prioritario, tutti sono stati colti di sorpresa. Credo che questa situazione sia molto simile a quella dell’11 settembre negli Usa, quando nessuno si aspettava un attentato e molte persone sono state uccise dai terroristi; credo che il governo farà tutto ciò che è in suo potere per garantire la nostra sicurezza e liberare gli ostaggi. Credo che questa sia la cosa migliore da fare.
Cosa sta facendo il Governo di Israele per salvare le vite dei suoi parenti e di tutti i rapiti che sono anche di nazionalità straniere?
In questo momento il mio Paese è in guerra. Non c’è modo di avviare un colloquio con Hamas, Hamas non vuole parlare con noi. È per questo motivo che ci stiamo rivolgendo al Governo italiano, visto che siamo cittadini italiani, e alla Chiesa cattolica a Roma. Perché voi avete influenza. Voi potete parlare con Hamas, potete parlare con organizzazioni che hanno una coscienza morale e che possono aiutare i miei genitori, mio padre che è malato, e cercare di portarli via sani e salvi. Non abbiamo alcun potere, ma vogliamo che conosciate la nostra vicenda, in modo che possiate essere consapevoli della disabilità di mio padre, che possiate convincere le cariche istituzionali ad aiutarci a salvare persone innocenti che vengono rapite per motivi ingiustificati.
Quale potrebbe essere, a suo avviso, il modo migliore per riportare a casa sani e salvi tutti gli ostaggi?
Non lo so. Non sono un esperto di negoziati o cose del genere. Posso solo dire che, oltre a garantire la sicurezza delle persone, la priorità assoluta è quella di riportare a casa tutti gli ostaggi sani e salvi. Io non so come riuscirci. Tuttavia, la cosa migliore da fare in questo momento è assicurarsi che non subiscano maltrattamenti e che tornino a casa sani e salvi, perché non abbiamo idea di cosa stia loro succedendo. Non sappiamo se sono vivi, non sappiamo come li trattano. Ma abbiamo visto cosa hanno fatto questi terroristi nelle case, uccidendo e violentando le donne… Non riesco nemmeno a immaginare e non voglio immaginare cosa stia succedendo agli ostaggi. La mia unica speranza è che i membri della Chiesa cattolica, con cui condividiamo valori etici e morali, che desiderano aiutarci, possano convincere le persone ad avere un po’ di buon senso, a trattare bene queste persone e a rimandarle a casa.
Lei è anche cittadino italiano: ha fiducia nello Stato italiano in questo momento? Il ministro Tajani ha detto che per l’Italia il rilascio dei nostri connazionali in mano ad Hamas è una «priorità assoluta»…
Una cosa che in questo momento difficile mi ha dato un po’ di speranza e un po’ di stabilità è stato il Governo italiano. Mi hanno chiamato dall’ambasciata un giorno dopo l’inizio dell’atrocità, per essere informati sulla mia incolumità e quella della mia famiglia. E proprio ieri mattina (11 ottobre, ndr), Tajani in persona mi ha chiamato dall’Egitto per dirmi che sta facendo del suo meglio per garantire la sicurezza dei suoi cittadini e della mia famiglia. Questo mi fa davvero sperare che l’Italia stia facendo il possibile, e che stia operando con senso morale, stando dalla parte giusta per aiutare, e per gestire questa situazione. Credo che anche la Chiesa cattolica stia facendo del suo meglio. Gli ebrei e i cristiani condividono lo stesso Libro. Possiamo avere alcune differenze di credo, ma abbiamo gli stessi valori morali e crediamo nella sacralità della vita e dell’umanità. E sappiamo che la parte avversa, Hamas, con le sue azioni efferate dimostra di non avere gli stessi valori. Spero davvero che qualcuno possa aiutare e fare pressione affinché la sicurezza, la verità, la moralità e la salvezza degli ostaggi siano garantiti.
Israele si sta preparando a un’offensiva terrestre dentro Gaza. La ritiene un rischio per gli ostaggi?
Certamente temo per la loro sicurezza perché, come detto prima, non possiamo confidare nel fatto che Hamas agisca con clemenza. Al momento i miei parenti sono nelle mani di persone che festeggiano la morte, trascinando i corpi senza vita nelle strade, sputandoci sopra e esultando di fronte alla morte, quindi ho molta paura per la loro incolumità. Non so davvero cosa rispondere, ma confido che Israele farà la cosa giusta. L’ultima volta che abbiamo assistito a tanta violenza è stato con l’Isis e in quell’occasione il mondo ha unito le forze per distruggere questa organizzazione. C’è voluto molto tempo, ma alla fine il bene ha prevalso. A mio avviso, anche l’Europa dovrebbe intraprendere la stessa azione nei confronti di questi assassini. Abbiamo visto che in un altro kibbutz vicino a Be’eri sono state trovate bandiere dell’Isis sul corpo di un terrorista di Hamas. Quindi sappiamo che esiste un collegamento. Sono gli stessi individui nati dallo stesso organismo.
Colpendo i kibbutz i terroristi hanno voluto colpire dei simboli della storia di Israele. Un attacco dal duplice, tragico, significato…
Sono d’accordo con lei. Ma penso che a prescindere dall’obiettivo dei terroristi, la tragedia sarebbe stata la stessa. Io rappresento solo la mia famiglia e il luogo in cui sono cresciuto. Certamente i kibbutz sono una parte molto importante della nostra storia e le persone che li abitano vengono da tutto il mondo. Per quanto riguarda i miei genitori, posso dire che sono persone pacifiche. Mia madre ha lavorato per la pace con altri cittadini palestinesi, non con i terroristi di Hamas. C’è differenza rispetto agli altri arabi che vogliono la pace. Anche mio padre, che ha imparato l’arabo, credeva nella pace e si è impegnato attivamente per promuoverla. Abbiamo vissuto in pace nella nostra comunità, credendo in questi valori e non abbiamo mai pensato che una cosa del genere potesse accadere. Credo che questa sia una duplice tragedia, il fatto che una cosa così terribile sia accaduta a persone così pacifiche.
Crede ancora possibile la convivenza tra israeliani e palestinesi e nella fine di questo lungo conflitto?
Hamas non mostra di poter far parte di questo sogno. Ora, però, è il momento di concentrarci sugli attacchi e su come porre fine al conflitto in cui ci troviamo e salvare la popolazione. Io desidero la pace. I miei genitori credono nella pace e mi hanno trasmesso questo insegnamento; sono fiducioso e spero che un giorno possa accadere. Ma adesso dobbiamo porre fine alle atrocità che stanno accadendo e condannare coloro che le hanno commesse senza alcuna compassione per le loro azioni.