«L’ennesima tragedia del mare ci conferma che in assenza di vie legali e sicure, che garantiscano la protezione umanitaria a profughi e rifugiati, l’Europa paga un altissimo prezzo mortale assistendo inerme a una serie di stragi annunciate. L’alternativa alle morti in mare esiste e sono i corridoi umanitari e ogni altra via legale che tuteli i richiedenti asilo». Lo dice Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, programma per migranti e rifugiati della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, attivo a Lampedusa con una propria base, in riferimento alla notizia del naufragio che si è verificato giovedì 22 aprile nel Mediterraneo in cui avrebbero perso la vita 120 migranti. «Questa idea ha trovato applicazione in Italia, ma ancora non è una policy europea», osserva Naso. Che lancia un appello ai partner europei per «una campagna insieme per rilanciare l’idea di corridoi umanitari europei». «Al tempo stesso non possiamo aspettare i tempi della politica europea e dobbiamo tutelare ogni azione di soccorso in mare e chiedere che, oltre a riconoscere e sostenere il lavoro delle ong che operano in questa direzione, il governo italiano dovrebbe farsi carico di operazioni di monitoraggio e soccorso».
Quando si verificano tragedie di questo genere, la reazione degli operatori di Mediterranean Hope a Lampedusa è «non solo di ovvio cordoglio per le vittime ma anche di eccezionale frustrazione», «perché si aspetta una nave o un mezzo di soccorso che non arriverà mai. E, se arrivano, sono carichi di cadaveri». «Per questo, è importante presidiare un posto come Lampedusa e farne un luogo europeo, non soltanto di memoria dei morti in mare, ma anche di monito sull’urgenza di nuove politiche di gestione dei flussi migratori».