In Myanmar, secondo l’Unicef, almeno 11 bambini sono morti venerdì 16 settembre, durante un attacco con elicotteri governativi Mi-35 che hanno colpito una scuola a Tabayin Township, nella regione di Sagaing. Altre fonti riferiscono invece di 13 morti, tra cui 7 bambini uccisi sul colpo e altri due morti successivamente, tra i 17 feriti. Gli elicotteri stavano sorvolando il villaggio di Let Yet Kone, circa 110 km a nord-ovest di Mandalay, la seconda città più grande del Paese dopo la capitale Yangon. Hanno sparato con mitragliatrici e armi pesanti contro la scuola, che ospita 240 studenti e si trova nel complesso del monastero buddista del villaggio.
Nella regione di Sagaing è fortemente radicata l’opposizione armata, civili che conoscono bene il territorio e si sono organizzati con armi artigianali per combattere contro i militari che hanno preso il potere con un golpe nel febbraio 2021. La leader del governo eletto Aung San Suu Kyi, 77 anni, Premio Nobel per la pace nel 1991, è stata condannata di recente ad altri sei anni di detenzione per corruzione, dopo gli undici già inflitti da una corte marziale, ma lei nega tutte le accuse. I suoi avvocati hanno fatto ricorso in appello.
Arresti, devastazioni e licenziamenti
Dall’avvento dei militari a oggi sono state arrestate più di 15 mila persone e oltre 12 mila sono ancora in carcere. «Molte sono mamme con figli, anche neonati. è un modo per costringere i mariti in clandestinità a tornare», dice Cecilia Brighi, segretaria generale dell’associazione “Italia-Birmania insieme”, profonda conoscitrice del Paese e in costante contatto con i sindacalisti locali.
L’Onu ha documentato 260 attacchi alle scuole da quando la giunta militare ha estromesso il governo eletto. L’agenzia Onu Unocha ha contato oltre 12 mila case, proprietà e villaggi distrutti. La tattica è quella di incendiare i villaggi, compiere esecuzioni extra-giudiziali di massa e attacchi aerei sui civili. I militari hanno messo a punto un sofisticato sistema di spionaggio e controllo contro i dissidenti politici. Sono stati licenziati oltre 400 mila dipendenti pubblici, tra cui infermieri, medici, ostetriche, insegnanti, ferrovieri.
Anche la piccola Chiesa cattolica è costantemente sotto osservazione e rischia moltissimo. «La Chiesa continua ad aiutare la popolazione e i rifugiati, in situazioni sempre più difficili – spiega la Brighi -. I costi per la sicurezza ed economici sono molto alti». In Myanmar la maggioranza della popolazione pratica il buddismo theravada. Dopo la pesante violenza subita durante la “rivoluzione zafferano” nel 2007, stavolta i monaci buddisti birmani hanno preso posizione, ma non si sono messi in prima fila alla guida della protesta.
La repressione a Sagaing
Nella regione di Sagaing, dove è avvenuto l’attacco alla scuola, «i giovani si sono organizzati molto bene per combattere, tanto da esser riusciti a sconfiggere, negli ultimi mesi, diverse truppe militari. Per questo è in corso una repressione violenta». Anche il sindacato birmano è stato dichiarato fuorilegge. «I mandati di cattura sono emessi continuamente e c’è una rete di oppositori fuggiti con le famiglie». Le condizioni di lavoro sfiorano la schiavitù, con salari medi di meno di 2 euro al giorno e costi di produzione molto alti. Quando nel settore tessile e dell’abbigliamento vengono organizzate proteste arrivano subito i militari. «Nelle zone industriali è stata imposta la legge marziale quindi si viene subito giudicati da un tribunale militare secondo la legge sul terrorismo».
Un Paese allo sbando
L’esperta descrive un Paese allo sbando anche dal punto di vista economico. L’associazione “Italia-Birmania insieme” sta chiedendo ai grandi marchi, che utilizzano la manodopera locale per produrre capi di abbigliamento da esportare, di lasciare il Paese. L’Unione europea è però contraria, per il rischio di un impatto ancora più forte sull’occupazione. «Già oltre 1 milione e mezzo di persone hanno perso il lavoro – afferma Brighi -, ma è ora di cambiare registro e accelerare le iniziative per la sconfitta della giunta militare».
Nel frattempo la giunta ha avviato collaborazioni sempre più forti con Russia e Cina per la fornitura di gas, carburanti e armi. «Allo stato attuale, se non si sostiene concretamente l’opposizione democratica birmana – conclude la Brighi -, c’è una reale incapacità della comunità internazionale di risolvere la questione».
«Aiutateci in qualsiasi modo»
«Grazie per aver chiamato, per aver chiesto cosa sta succedendo. Quello che chiediamo è che il mondo sappia e non ci dimentichi. Pregate per noi. Aiutateci in qualsiasi modo. Il nostro popolo si sente totalmente dimenticato». A parlare è una fonte dell’arcidiocesi di Mandalay che chiede, quasi scusandosi, di rimanere nell’anonimato perché – dice – «è pericoloso e voglio poter rimanere a fianco della mia gente, sulla mia terra» e «i militari agiscono senza nessuna considerazione per nessuno».
È nell’arcidiocesi di Mandalay che si trova Sagaing, dove è avvenuto l’attacco alla scuola. Le foto sono terribili. Si vendono corpi di bambini morti avvolti nei teli e macerie ovunque, macchie di sangue. Anche chi invia queste immagini chiede di poter rimanere nell’anonimato, perché qui all’orrore della morte si aggiungono anche le ritorsioni, la sorveglianza, il controllo efferato dei militari. Stanno emergendo testimonianze drammatiche. Molto è ancora da chiarire anche perché, secondo l’Unicef, almeno 15 bambini della stessa scuola risultano ancora scomparsi. La fonte dell’arcidiocesi esprime «molto dolore per i genitori», e aggiunge: «Questo è successo in città, ma nei villaggi ogni giorno, ogni momento succedono cose simili e nessuno sa e saprà mai nulla. Sento il pianto dei genitori. Abbiamo ricevuto nella mia diocesi più di 1.800 profughi. Accogliendoli, ascoltando lo loro storie, il dolore si fa sempre più profondo».
L’esercito birmano prende più volte di mira anche le istituzioni religiose dove la popolazione cerca rifugio dagli scontri. In particolare, la regione del Sagaing è stata teatro nei mesi scorsi di diverse offensive dell’esercito, che avrebbe dato alle fiamme interi villaggi, spingendo alla fuga circa mezzo milione di persone, secondo un rapporto pubblicato questo mese dall’Unicef. Morti, arresti indiscriminati, addirittura condannati a morte. A essere colpite da missili, attacchi di artiglieria e saccheggi sono anche chiese, monasteri e conventi religiosi dove spesso trovano rifugio donne e bambini in fuga dalla guerra. «La nostra gente, da tanto tempo, soffre – racconta la voce dal Myanmar -, ma il mondo non sa quello che stiamo vivendo. Anche l’Europa ha dimenticato questa terra».
L’azione della Chiesa
La maggioranza della popolazione della diocesi di Mandalay è buddista. «Io piango sempre per loro e con loro – raccontano dal Myanmar -. Il dolore è molto profondo. Stiamo ascoltando le loro storie. Ci raccontano di come hanno perso le loro case e sono fuggiti dai loro villaggi. Sono anziani, bambini, donne. In questa zona non c’è né foresta, né montagna. I profughi sono in campo aperto, sotto la pioggia, senza un tetto dove proteggersi. Non hanno né cibo, né medicine. Niente». Desta inoltre grande preoccupazione soprattutto la situazione dei giovani. «Dal 2020, l’anno del Covid, le scuole sono state chiuse e con il colpo di Stato molti studenti, aderendo al movimento di disobbedienza civile, non vanno a scuola. E questo significa che in Myanmar i giovani stanno crescendo senza educazione. Stiamo assistendo inoltre a un sistema di ingiustizia. Molti giovani vengono messi in prigione senza certezza, senza ragione. Molti genitori quindi non sanno dove sono i loro figli e i figli non sanno dove sono andati i loro genitori».
La Chiesa è impegnata ad andare incontro e in aiuto della gente. Solo a Mandalay, la diocesi ha aperto 5 centri per profughi, a cui danno rifugio a più di 2.000 persone. «D’altronde l’economia è molto peggiorata. Gli anni del colpo di Stato stanno pesando ogni giorno, sempre di più. I poveri in città sono senza lavoro. E l’accesso al cibo e alle medicine è sempre più difficile. Ma nei villaggi la situazione è ancora più critica. Solo le suore aprono qui dei dispensari sanitari dove vengono distribuite le medicine e lo fanno nonostante il pericolo che corrono. Per questo chiedo, non dimenticatevi di noi».