Sono 1.467 le persone che nel 2023 hanno perso la vita sul posto di lavoro in Italia. A riportare i dati di questa strage silenziosa è l’Osservatorio di Bologna sui morti del lavoro. Istituito nel 2008 su iniziativa di Carlo Soricelli in memoria dei sette operai morti nel rogo della Thyssen di Torino, ogni anno pubblica i numeri di decessi, infortuni professionali e denunce che riguardano il settore del lavoro.
Un dato che colpisce maggiormente nel rapporto del 2023 sono le 482 persone (quasi un terzo del totale) che risultano decedute nel tragitto casa-lavoro e viceversa, una casistica equiparabile agli infortuni sul lavoro.
Se il calo delle denunce di infortunio è da attribuire quasi esclusivamente al notevole crollo dei casi di contagio da Covid raccolti rispetto all’anno precedente, a preoccupare sono invece le malattie professionali. I dati registrano infatti un aumento del 20,4% rispetto al 2022.
La geografia dei decessi
Analizzando la provenienza geografica dei decessi, si può osservare come la Lombardia spicchi in testa alla classifica per numero complessivo di morti: sono 123 gli uomini e le donne decedute nel 2023 in regione. Seguono distaccate Veneto, Sicilia e Campania, rispettivamente a 91, 77 e 73 casi ciascuna.
C’è però una lettura completamente differente di questi dati che capovolge la distribuzione dei decessi. L’Osservatorio di Bologna infatti rapporta anche il numero di morti sul lavoro in base al numero di abitanti per regione. Il risultato produce così una classifica totalmente diversa: gli stessi 123 decessi lombardi, se rapportati ai quasi dieci milioni di residenti, consegnano così alla regione una stima di un morto sul lavoro ogni 81.109 persone. Numero secondo solo a quello riportato dal Lazio, che registra un decesso ogni 95.341 abitanti.
In questa nuova classifica le regioni più “pericolose” risultano quindi l’Abruzzo – un decesso ogni 33.596 persone -, seguito da Calabria e Molise. Da questa analisi spiccano al nord Italia prevalentemente i territori dell’est, come Friuli e Trentino Alto Adige, e Marche al centro.
Chi rischia di più sono gli stranieri
Oltre all'Osservatorio di Bologna, un campanello di allarme sul tema lo ha acceso anche l'Osservatorio sicurezza sul lavoro e ambiente Vega Engineering di Mestre. Il dato in evidenza in questo caso riguarda i lavoratori stranieri, esposti al doppio dei pericoli rispetto agli italiani: tra gennaio e novembre 2023, su 745 denunce di infortunio mortale, 142 sono state sporte da stranieri. Nel corso dell'anno si è registrato un rapporto di circa 59 morti ogni milione di occupati contro le 29 italiane.
Dietro a questa differenza, la motivazione principale consiste nel fatto che di solito i lavoratori provenienti dall’estero sono occupati in settori maggiormente soggetti a pericoli, come l’edilizia e l’agricoltura. Chi lavora nei campi o nella costruzione di edifici spesso e volentieri è manodopera non specializzata, a cui il datore di lavoro non offre una corretta formazione all’infortunistica e gli strumenti necessari alla prevenzione. Un'ingiustizia spesso provocata dalla condizione giuridica dei lavoratori. Spesso infatti chi è impiegato in questi settori non è provvisto di permesso di soggiorno o vive sulla pelle la condizione di irregolare nel territorio italiano: condizione che lo espone a ricatti da parte del datore di lavoro, inasprita anche da una difficoltà legata a una precaria comprensione della lingua e dei diritti professionali.
Più formazione, a partire dalle scuole
Sul tema degli infortuni sul lavoro le Acli conducono da anni numerose attività di sensibilizzazione. Una formazione che dovrebbe cominciare già dai banchi di scuola secondo il milanese Paolo Ricotti, presidente nazionale del patronato Acli: «È necessario un investimento importante nella formazione alla prevenzione. Sarebbe necessario portarla addirittura nelle scuole, per far capire fin da subito che in ogni categoria di lavoro esiste un rischio di infortunio, di malattia professionale, di morte. La maggior parte delle volte gli infortuni si sviluppano per due ragioni: nel primo caso strutture non adeguate, che si possono correggere con impianti sanzionatori o premiando le imprese che invece si impegnano; il secondo caso è causato dalle sottovalutazioni del pericolo, perché ci sono persone molto giovani che non conoscono i rischi, o viceversa molto esperte, che invece li sottovalutano».
Un ulteriore dato che preoccupa Ricotti è l’aumento delle malattie professionali: «Un più 20% di denunce per malattie professionali in un anno è un dato che allarma molto, perché sono situazioni che lasciano strascichi, anche privati, che sul lungo periodo possono provocare anche la morte. Pensiamo a tutte le questioni delle morti provocate da amianto per esempio. Anche senza entrare nei casi più estremi, il tema delle malattie professionali in aumento così forte dice che probabilmente proprio le modalità di lavoro vanno attenzionate meglio».
Il principale ostacolo alle soluzioni auspicate da Ricotti è tuttavia l’assenza di una seria volontà d’azione sul tema: «È molto brutto da dire, ma purtroppo mille morti non muovono molto nella politica - sottolinea il presidente nazionale -. Sono considerati una cifra tutto sommato accettabile, anche se poi si finisce per piangere ogni volta che si scatena un episodio. Senza dimenticare che oltre ad alcuni lavoratori ci sono imprese che sottovalutano e mettono al primo posto la produttività rispetto alla sicurezza. Su questo aspetto bisogna intervenire con una repressione ancora più dura, non solamente ex post, ma con dei controlli. Ancora una volta abbiamo le risorse, vediamo di mettere in campo anche delle persone che verifichino. Ci sono numeri veramente ridicoli di risorse destinate alla vigilanza».