Il presidente americano si prepara ad annunciare il riconoscimento del genocidio armeno. A scriverlo è il New York Times secondo il quale il presidente Joe Biden dovrebbe fare l’annuncio sabato 24 aprile, nel 106° anniversario dell’inizio dello sterminio del popolo armeno nei territori dell’Impero ottomano. Si stima che tra il 1915 e il 1923, 1,5 milioni di armeni furono uccisi durante la Prima guerra mondiale dalle truppe dell’Impero Ottomano. La Turchia rifiuta l’uso del termine “genocidio” e rifiuta ogni accenno di sterminio, evocando reciproci massacri. Con la sua decisione, Biden allunga la lista dei Paesi che riconoscono il genocidio armeno ed è il primo presidente americano a farlo, anche se Ronald Reagan fece riferimento in una dichiarazione scritta del 1981, e sia la Camera che il Senato hanno approvato misure nel 2019 per rendere il suo riconoscimento argomento formalmente riconosciuto come tale della politica estera degli Stati Uniti.
Un riconoscimento che negli Usa guarisce ferite antiche
«È un riconoscimento importantissimo», commenta a caldo Simone Zoppellaro, giornalista e profondo conoscitore dell’Armenia dove ha lavorato e girato nei mesi scorsi per Tv2000 un documentario sulla guerra in Nagorno-Karabakh. «Gli Stati Uniti – aggiunge – hanno una presenza storica e numerosa di armeni, moltissimi dei quali sono i discendenti del genocidio e per loro questo riconoscimento è un grande risultato che guarisce ferite antiche».
Sulla questione, era intervenuto nei giorni scorsi anche il Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) che ha addirittura inviato una lettera al presidente Biden per chiedere un atto formale di riconoscimento. «È una questione di principio fondamentale, un passo essenziale verso la guarigione e la riconciliazione e, cosa più importante, una misura vitale per la prevenzione del genocidio oggi e in futuro», scrivevano le Chiese. «Signor Presidente, come certamente saprà, il genocidio armeno non è un’accusa, un’interpretazione, un’opinione personale o un punto di vista, quanto piuttosto un fatto documentato, supportato da un insieme schiacciante di prove storiche».
Per arrivarci però c’è stato bisogno di tempo
«È stato un lungo percorso – spiega Zoppellaro -, segnato certamente dalla guerra fredda e da un’Armenia che faceva parte del blocco sovietico. Biden ha avuto l’intelligenza di capire l’importanza di riprendere in mano una questione rimasta aperta per troppi anni». Una decisione che chiama in causa, seppur indirettamente, la Turchia che «in questo momento sta diventando sempre di più avventuristica in politica estera, anche dal punto di vista militare, pur essendo alleato Nato», osserva il giornalista. «Il riconoscimento del genocidio armeno da parte degli Stati Uniti ha un valore storico e di memoria che certamente deve essere valutato come tale. Se lo si guarda però dal punto di vista di politica internazionale e in particolare delle relazioni Usa con la Turchia, sicuramente getta ulteriori tensioni ad un rapporto non semplice seppure solido».
Nel 2016 il viaggio del Papa in Armenia
A partire dal 1965 (Uruguay), e senza ancora non considerare gli Usa, sono 29 i Paesi del mondo che hanno ufficialmente riconosciuto il genocidio. Il 12 aprile 2015 papa Francesco riferendosi agli avvenimenti ha parlato esplicitamente di genocidio, citando una dichiarazione del 2001 sottoscritta da papa Giovanni Paolo II e dal patriarca armeno. Quelle parole suscitarono una forte reazione del presidente turco Erdogan che non fermarono però il Papa a utilizzare di nuovo il termine “genocidio” nel giugno 2016, durante il viaggio in Armenia. Le posizioni più intransigenti a questo proposito sembrano essere quelle rappresentate dalla Francia, che considera perfino un reato la negazione di quel crimine. E in Italia? Nel 2019, la Camera dei deputati ha approvato, con 382 voti a favore, nessun contrario e 43 astenuti, una mozione che «impegna il Governo a riconoscere ufficialmente il genocidio armeno e a darne risonanza internazionale».
Mancano all’appello ancora molti Paesi
Quello del genocidio armeno non è ancora un fatto universalmente riconosciuto. «Il caso più dibattuto è quello di Israele – dice Zoppellaro -, nonostante sia stato discusso diverse volte dalla Knesset e nonostante ci siano stati importanti attestazioni alla causa da parte di intellettuali e da parte anche della comunità ebraica in Italia». Durante la guerra in Nagorno-Karabakh, tra Israele e Armenia c’è stata una grave crisi diplomatica: l’Armenia ritirò il suo ambasciatore perché Israele aveva fornito armamenti all’Azerbaigian. «A questa crisi si aggiunge anche un discorso di memoria storica fortemente dibattuto in seno ad Israele sulla questione di genocidio e sulla unicità della Shoah».
La guerra dimenticata in Nagorno-Karabakh
«Dal punto di vista umanitario – racconta Zoppellaro – sono decine di migliaia gli armeni che hanno perso tutto durante la guerra in Nagorno-Karabakh: casa, lavoro, i luoghi dove sono nati e dove sono le tombe dei loro genitori. È una tragedia enorme che purtroppo è avvenuta in tempo di Covid ed ha avuto un riscontro quasi assente dal punto di vista politico in Europa. Insieme con l’Ucraina, l’Europa ancora una volta ha ai suoi confini un conflitto molto lungo che non riesce a risolvere. Sono conflitti alimentati da nazionalismi, odio, tentazioni mai del tutto assopite di pulizia etnica e genocidi. Derive che avrebbero dovuto essere da tempo sanate ma che invece sono ancora dentro i nostri popoli e che l’Europa non ha avuto la forza di riconciliare. Per questo tenere viva la memoria del genocidio armeno è importante per non permettere mai più in futuro e nel presente che odio, violenza e uso delle armi vincano ancora».