Vivere in coppia ha ancora attrattiva? Se guardassimo talk show, reality, fiction che popolano i programmi televisivi non avremmo dubbi nell’affermare che l’idea di vivere una sincera e romantica storia di amore è tra i desideri degli italiani.
Se poi ci confrontassimo con i dati delle rilevazioni Istat, recentemente pubblicati, noteremmo una certa disaffezione verso le forme di vita coniugale. L’ultima rilevazione conferma una tendenza di costante riduzione dei matrimoni celebrati in Italia: nel 2014 sono stati 189mila e 765, di questi oltre 24mila coinvolgono almeno un cittadino straniero.
Se ci concentrassimo sui matrimoni tra italiani osserveremmo che il calo tocca sia quelli celebrati con rito religioso sia quelli con rito civile, che ora raggiungono il 28,1% del numero complessivo. Anche il numero di nozze successive alle prime diminuisce.
Sembra esserci una distanza tra le rappresentazioni di un immaginario collettivo che raccontano i media dove tutti si affaticano a rincorrere le belle storie d’amore e la cruda realtà che ci porta a un distacco degli italiani dal matrimonio, dalle lune di miele, dalle belle e coinvolgenti celebrazioni: il tasso di propensione alla primo-nuzialità è di 421 per mille uomini e 463 per mille donne, in calo rispettivamente del 18,7% e del 20,2%,
Dalle osservazioni statistiche i ricercatori traggono due indicazioni per giustificare la disaffezione al matrimonio. La prima è senz’altro condivisibile e evidente: la prolungata fase di transizione alla vita adulta aggravata dalla crisi economica.
Nel rapporto si sottolinea come i giovani italiani che abitano tra le mura della famiglia di origine oltre la maggiore età sono il 78,6% tra i maschi e il 68,4% tra le femmine. Nota il rapporto che rispetto al 2008 le giovani che sono rimaste a casa sono circa 48mila in più, mentre quelle che si sono sposate sono circa 41mila in meno. Le cause di questa permanenza continuano a essere le stesse: lavori precari e instabili, prolungati percorsi formativi, costi proibitivi dei mercati immobiliari. Questo rinvia la data dei primi matrimoni che ormai si fissa oltre i trent’anni sia per gli uomini che per le donne. Osserviamo noi che seguendo questa traiettoria si spiega quasi l’85% del fenomeno.
La seconda indicazione, invece, dovrebbe essere maggiormente giustificata. Si sottolinea che c’è un proliferare di forme diverse di unioni: più che raddoppiate dal 2008 al biennio 2013-2014. Si dice che le convivenze “more uxorio” arrivano a 641mila. Per comprenderne l’effettiva consistenza, però, questo dato andrebbe confrontato con il numero di matrimoni in essere, altrimenti non si riesce a capire la forza dell’impatto. Non è nemmeno sufficiente sottolineare che un nato su quattro nell’anno è concepito da genitori non coniugati, perché generalmente c’è una tendenza a sposarsi dopo il primo figlio. E quindi bisognerebbe comprendere quanti permangono nello stato di unione di fatto dopo essere diventati genitori.
Molto probabilmente, le mancate nozze derivano anche dalla cristallizzazione dello stato di celibato a cui in età matura è più difficile rinunciare, per questioni di abitudini, di stili di vita, di consuetudini e “routine” che con l’età si sono acquisite e a cui è più difficile rinunciare.