«Il Partito democratico non deve scegliere con chi fare alleanza. Deve dire: “Se qualcuno vuole far nascere un governo di coalizione venga che ne parliamo”. Questo è un punto politico cruciale, perché nessuna delle tre forze può governare da sola. Il modello tedesco è molto interessante: hanno lavorato per settimane nei minimi particolari e ne è uscito un programma di governo di coalizione. Spero che il Pd abbia la forza almeno di dire questo, altrimenti è destinato a scomparire». Mauro Magatti, sociologo dell’Università cattolica di Milano, analizza il voto a una settimana dallo tsunami che ha sconvolto il panorama politico italiano. E indica una via di uscita nella strettissima strada per la formazione di un nuovo governo.
Con il voto del 4 marzo è nata la terza Repubblica?
Come fu tra gli anni Ottanta e Novanta, quando le mutate condizioni economiche, sociali e internazionali segnarono la fine del pentapartito, della Democrazia cristiana e l’avvento di nuovi protagonisti (Berlusconi, Forza Italia, Prodi, ecc.), così oggi non si tratta di terza o quarta Repubblica, ma il sistema e le forze politiche cercano di rispondere a questa transizione.
Partiamo dal centrodestra…
Quello che accade è molto chiaro, perché riproduce quello che è successo dappertutto: la destra contemporanea non è più neoliberista, ma con altre preoccupazioni, anche perché non ci sono più le condizioni né culturali né economiche del passato. Oggi è preoccupata dei confini, della sicurezza, gli immigrati sono l’elemento scatenante o che suscita l’allarme sociale nella vita quotidiana, ma sono solo un sintomo di un cambiamento più generale. È chiara la direzione verso cui si sta ristrutturando la destra, non solo in Italia, in Europa e negli Stati Uniti. Quale sarà il punto di approdo di questa torsione è ancora tutto da capire: se sarà nel mercantilismo e nella guerra dei dazi che sta cominciando Trump piuttosto che una destra ordine e legalità.
Matteo Salvini, con la sua linea sovranista e populista, diventa egemone nel centrodestra?
Salvini ha avuto intuito: ha abbandonato la tradizione regionalista e federalista di Bossi e ha spostato la Lega su quella linea. Quindi è l’attore politico che si è posizionato sul lato destro in maniera coerente rispetto a quello che si vede negli altri Paesi. Questa è la ragione per cui si è trovato a vincere.
E il Movimento 5 Stelle?
Cosa sono i 5 Stelle probabilmente non lo sanno neanche loro. È una realtà molto incerta, vedo una forte disorganizzazione e impreparazione, non credo che siano una forza politica in grado di poter governare il Paese da sola, mi sembra impossibile.
Ha un futuro il centrosinistra? Come si deve ripensare di fronte a questa sorta di bipolarismo centrodestra a trazione leghista e M5S?
Quando ci sono queste trasformazioni storiche, gli assi dei sistemi politici tendono a ristrutturarsi. Non si vede in giro per l’Europa e per il mondo una forza di centrosinistra di governo che sia in grado di proporre una strada alternativa a quanto propone la destra. I 5 Stelle si sono infilati in questo spazio. Ci potrebbero essere due ipotesi: una è che possano maturare, data la loro immaturità, imparino, possano essere l’embrione di un centrosinistra diverso. Oppure può implodere molto rapidamente lasciando spazio a un’offerta che in questo momento non si vede, che può nascere dalle ceneri del Pd, da qualcuno che continua come ha fatto in Francia Macron, e che può anche velocemente riassorbire il voto ai 5 Stelle.
In Lombardia il M5S non sfonda, a Milano tutto sommato il Pd tiene. C’è dunque uno specifico lombardo in questo voto?
Sì, dove il Pd come in Lombardia, in particolare a Milano, ha fatto cose apprezzate, lo spazio si restringe per i 5 Stelle. Si è visto anche dai flussi che M5S pesca prevalentemente in un elettorato di centrosinistra. Tuttavia peserà il fatto che il M5S – e questo è elemento problematico anche per la loro stessa evoluzione – ha preso tutti questi voti al Sud, dove l’annuncio del Reddito di cittadinanza ha fatto molta gola.
Sul fronte europeo quale sarà la reazione? L’anello debole per il rilancio dell’europeismo diventa l’Italia?
Di rilancio dell’europeismo non si vede traccia. Macron fa qualche apertura più grande, ma sono passi troppo piccoli rispetto alle necessità storiche che avremmo. In questo contesto i sentimenti antieuropei, che in Italia si sono sviluppati da quando c’è l’euro, sono molto forti, perché ci sono tanti ceti sociali che dopo quasi 20 anni non riescono a vedere benefici. Al di là di prediche sull’Europa dovrebbe essere questo un punto di riflessione. C’è il rischio che il voto italiano sia un fattore di crisi grave in tutta Europa, che possa essere l’inizio di uno scivolamento indietro. Speriamo di no, però anche che ci sia il coraggio politico che fino adesso non si è visto.
La presenza dei cattolici in politica: danno un contributo rilevante oppure sono ininfluenti?
Dipende da cosa si intende per cattolici, perché c’è una serie di equivoci. Matteo Renzi in questi anni è stato leader di riferimento e presidente del Consiglio, non aveva la targhetta “cattolico”, ma pur con le sue interpretazioni, viene dal mondo cattolico. Questo era uno degli atout che aveva nei confronti dell’elettorato italiano. Chiaramente nell’equivoco, ha suscitato molte reazioni Salvini che ha fatto riferimento al Vangelo, al suo giuramento, dopodiché uno si domanda cosa fa del Vangelo, di cui non saprà niente… Quindi questa storia dei cattolici mi suona un po’ strana: se si intende che non c’è un partito dei cattolici, non c’è da 30 anni e forse è bene che non ci sia. Personalità che sono cresciute ed educate nel mondo cattolico ci sono state e ci sono. Il problema è la debolezza e fragilità della radice cattolica: in termini di proposte culturali, di capacità di aiutare il Paese a guardare il futuro, nelle forze intellettuali, economiche, persino in quella ecclesiale. Forse bisogna farsi delle domande.
Quale futuro per la formazione del governo? Il pallino è nel Pd, dipenderà dalle scelte che farà. Vede una possibile alleanza con il M5S oppure è giusto che stia all’opposizione?
Il Pd si trova nella posizione più sgradevole e più faticosa. Qualunque cosa fa paga: se si allea con la destra o con M5S sarebbe da considerare sbagliato, un tradire l’elettorato. Se non si allea con nessuno, il che significa che non è possibile nessun governo, espone l’Italia e se stesso a rischi molto alti. Quindi qualunque cosa fa la sbaglia. Tuttavia credo che il Pd – più che il pallino, ha in mano il cerino – debba ribadire agli altri due contendenti, che hanno vinto relativamente le elezioni, il modello tedesco. Se qualcuno è interessato ci si può provare, se nessuno lo è si andrà alle elezioni. Questa è l’unica cosa ragionevole che il Pd può dire per se stesso e per l’Italia.