In Lombardia, su 700 domande pervenute sono state 614 le persone che hanno potuto beneficiare della legge 112 del 2016, meglio nota come legge sul “Dopo di noi”. Il 73,4% dei beneficiari ha un buon grado di autonomia (dal terzo al sesto livello secondo la scala Adl), nella maggioranza dei casi (52,6%) ha un’età tra i 30 e i 49 anni e presenta un ritardo mentale (35,2%), oppure è affetto da sindrome di Down o altre malattie genetiche (27,5%). Nella stragrande maggioranza può contare su almeno un genitore (77,5%) che nel 39,4% dei casi ha un’età compresa tra i 50 e i 64 anni.
In tre anni le risorse erogate sinora, grazie ai trasferimenti statali, dalla Regione Lombardia sono state pari a 30 milioni di euro, che hanno finanziato per il 43% interventi infrastrutturali (eliminazione di barriere architettoniche, messa in opera di adattamenti domotici, sostegno all’affitto) per il 57% interventi gestionali (prevalentemente sostegno all’autonomia).
Rispetto al resto della regione, si registra nel Comune di Milano la prevalenza dei beneficiari nella fascia di età più giovane, compresa tra i 21 e i 30 anni: segno forse di una maggiore conoscenza tra le famiglie delle opportunità offerte dalla nuova normativa.
I dati sui primi risultati dell’applicazione della legge sul “Dopo di noi” in regione sono stati resi noti nel corso del seminario tra addetti ai lavori, associazioni e famiglie promosso da Caritas Ambrosiana, Ledha Milano e Confcooperative-Federsolidarietà di Milano-Lodi e Monza-Brianza.
«Alla luce dei progetti presentati in questo primo anno possiamo innanzitutto affermare che la legge 112 ha rappresentato un’opportunità importante per avviare un confronto e un lavoro di rete tra famiglie, associazioni, cooperative, enti locali e realtà del territorio sul futuro dei ragazzi con disabilità – ha detto Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana -. Per alcune famiglie è stata l’occasione per uscire dall’isolamento, conoscere altre famiglie nella stessa situazione e prendere contatti con il servizio sociale e con il mondo della cooperazione. Sono partite sperimentazioni di autonomia e forme di convivenza creative e “fuori dagli schemi”, cohousing e progetti nati da esperienze con già alle spalle percorsi di avvicinamento alla residenzialità. Un passo importante è stato fatto ma non è sufficiente. Molto dipenderà dai fondi stanziati nei prossimi anni e dall’utilizzo che se ne farà, dalla possibilità di mettere a regime queste forme di residenzialità fino ad oggi “fuori dagli standard” e dall’investimento sull’inserimento lavorativo delle persone con disabilità».