Dovevano arrivare a gennaio 2024 e così è stato. Ma non hanno la forma che ci si aspettava (e, forse, nemmeno la sostanza): le misure attuative della «Legge delega 33/23 in materia di politiche in favore delle persone anziane», promulgata lo scorso marzo, non si presentano come un “pacchetto” di decreti, ma come un unico testo. Prodotto da un gruppo di lavoro comprendente i diversi ministeri interessati (tra cui Lavoro, Salute e Presidenza del Consiglio), che si era costituito dopo l’approvazione della legge delega, ora il decreto dovrà passare al vaglio delle commissioni parlamentari e della conferenza unificata con Regioni ed enti locali prima di essere approvato in via definitiva.
Sul piatto nuove questioni
Abbiamo chiesto a Virginio Brivio, coordinatore della commissione PNRR e riforme di Uneba Lombardia (Unione nazionale enti di assistenza sociale), di illustrarci il decreto: «Si tratta solo in parte un decreto attuativo – spiega -, perché precisa meglio alcune scelte della legge delega, ma aggiunge anche argomenti nuovi, come il tema della promozione turistica e sportiva per le persone anziane, o la dimensione della prevenzione attraverso l’attività fisica e la sana alimentazione, tutte cose che non erano presenti nella legge. Aspetti senz’altro importanti, ma la grande attesa delle famiglie era per un rinnovamento dell’assistenza agli anziani non autosufficienti».
Prosegue Brivio, «C’è il tentativo di creare un coordinamento tra il livello nazionale e quello locale dell’assistenza, quindi tra lo Stato da una parte e Comuni e Regioni dall’altra, ma di fatto il decreto rafforza molto il ruolo del coordinamento interministeriale (Cipa, Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana, n.d.r.), rispetto al coordinamento di natura tecnica (Snaa, Sistema Nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente, n.d.r.), quello appunto in cui dovevano essere coinvolti i Comuni e le Regioni».
Così si rischia, secondo Brivio, che non si concretizzi uno degli obiettivi principali della legge delega, cioè eliminare la frammentazione dei servizi, che li rende poco accessibili perché l’utente non sa quale prestazione può richiedere e a quale ente: «Il decreto non fa una scelta netta di attribuzione delle responsabilità nei diversi settori – continua Brivio -, sembra invece che ogni livello mantenga le sue competenze, con i Comuni titolari delle prestazioni sociali e le Regioni di quelle sanitarie. Non c’è stata l’attesa unificazione delle prestazioni, con il rischio che, di fronte ai bisogni complessi della non autosufficienza, non ci sia una reale presa in carico, ma si lasci ancora il coordinamento alla buona volontà e alla disponibilità di collaborazione tra le istituzioni».
Come cambia l’assegno di indennità
Altro punto dolente, secondo Brivio, l’assistenza domiciliare: «Doveva essere l’architrave della riforma, ma l’attenzione a questo aspetto viene annacquato all’intero di una miriade di interventi annunciati, dalle agevolazioni per il turismo degli anziani all’attenzione rivolta agli animali di affezione. Quello che le famiglie chiedono, invece, è la possibilità di tenere gli anziani a casa senza sentirsi abbandonati».
C’è, di contro, una positiva considerazione di altre forme di assistenza diversa da quella domiciliare: «Nel decreto – fa notare Brivio – c’è un’enfasi forte su nuove forme di assistenza, accanto ai sistemi già presenti di assistenza domiciliare, di residenzialità e ai centri diurni. Parliamo della formula dei miniappartamenti in co-housing per piccoli gruppi di anziani, oppure delle forme di co-housing intergenerazionali, per mettere insieme i bisogni abitativi delle nuove generazioni e le esigenze di assistenza degli anziani». Iniziative che riguardano solo gli anziani ancora autosufficienti o con compromissioni modeste, ma per le quali vengono perlomeno stanziati già dei finanziamenti.
Quello delle risorse è, in effetti, uno altro dei punti critici del decreto. Prendiamo per esempio l’indennità di accompagnamento: «Come “Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza”, il cartello di associazioni, tra cui Uneba, che ha partecipato alla stesura della legge, avevamo chiesto revisione complessiva, anche del sistema di accesso, all’indennità – spiega Brivio -. Invece il decreto propone un aumento da 500 euro a 1300 circa, ma come misura straordinaria, della durata di due anni, e solo per anziani in condizione di estrema gravità e con Isee inferiore a 6000 euro. Si calcola che beneficeranno della nuova misura 25.000 anziani. Meglio di niente, per carità. Ma i non autosufficienti in Italia sfiorano il milione».
«L’auspicio – conclude Brivio – è che nel periodo per le osservazioni e i pareri delle commissioni parlamentari e degli enti locali si possano recuperare alcuni di questi aspetti per potenziare e unificare una rete territoriale oggi ancora frammentata».