Continuano i tentativi disperati dei migranti di lasciare la Bielorussia ed entrare in Polonia. Nel Paese europeo guidato dal premier Jarosław Kaczyński, capo del partito di destra “Diritto e Giustizia”, noto per le posizioni xenofobe, ultra conservatrici e euroscettiche, «l’opinione pubblica è sempre più polarizzata».
Narrazione falsata
Settori della società civile polacca sostengono i diritti dei migranti come racconta Amelia, che chiede di non mettere il suo vero nome per evitare “problemi”. La donna polacca, di origini mediorientali, lavora come accademica e ha una lunga esperienza come traduttrice: «La narrativa, soprattutto dei politici al governo, dipinge coloro che vengono dal Medio Oriente, soprattutto musulmani, come persone che praticano la zoofilia e pedofilia e per questo non possono entrare in Polonia».
«Per sostenere questa tesi i ministri degli Interni e della Difesa nazionale polacchi sono arrivati a mostrare durante una conferenza stampa trasmessa dalla televisione pubblica, una foto presa da internet la cui provenienza è tutta da verificare. L’idea della difesa del confine rafforza l’identità polacca. La Polonia ha una grande e recente storia di emigrazione, durante la seconda guerra mondiale e sotto il regime comunista quando migliaia di polacchi sono fuggiti. E ancora più recentemente, dopo l’ingresso in Ue migliaia di nostri connazionali hanno beneficiato della libertà di movimento per andare a cercare fortuna in altri Paesi europei».
C’è chi non si rassegna a questa narrativa di odio e non accetta la situazione al confine e la politica di respingimenti violenti del governo. «Molte persone – aggiunge Amelia – stanno mandando soldi, altri raccolgono beni necessità che stanno inviando verso il confine. Quando riusciamo, con i miei amici dopo il lavoro andiamo nei punti dove si raccolgono e impacchettano beni di prima necessità. Un gruppo di attori e attrici è andato in una cittadina vicina al confine per esprimere sostegno alle persone intrappolate in Bielorussia: nel gruppo c’era anche l’attore Macej Stuhr. Due giorni fa qualcuno ha scritto sulla tomba della sua famiglia: “M. Stuhr assassino di polacchi”. Io non riesco a capire come mai chiedere il rispetto della vita di alcune persone equivalga a ucciderne altre». Lo scorso 20 novembre migliaia di persone sono scese in piazza a Varsavia a sostegno dei migranti “intrappolati” al confine.
Maltrattamenti e abusi
Alcuni episodi di maltrattamenti ai danni di famiglie con bambini piccolissimi riportati da Natalia Gebert, dell’associazione Dom Otwarty, una delle 14 associazioni parte del network Grupa Granica (“Gruppo di confine”), impegnato nella tutela dei diritti umani e civili delle persone migranti e richiedenti asilo, danno la cifra del comportamento del governo polacco e l’evoluzione dell’opinione pubblica sulla vicenda. A Varsavia migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro l’atteggiamento della Polizia e dei militari. Di questi giorni le immagini giunte dalla frontiera che hanno mostrato una bambina curda chiedere invano dell’acqua ai militari polacchi armati di mitra dislocati a guardia del confine.
La denuncia
«Abbiamo iniziato a lavorare presso il confine, in collaborazione con Fundacja Ocalejnie, già nell’agosto scorso – racconta Natalia Gebert – e abbiamo ricevuto molte richieste di aiuto da persone disperse nella foresta. Alcune delle foreste al confine sono fitte e ricche di paludi dove è veramente difficile anche solo camminare, figuriamoci sopravvivere. Abbiamo soccorso persone che stavano affogando nei terreni paludosi, persone che non erano ovviamente preparate ad attraversare quel tipo di foresta. Quando come associazioni ci siamo messe insieme per formare Grupa Granica non immaginavamo la portata della crisi umanitaria, pensavamo che avremmo solo dovuto intervenire dal punto di vista legale per agevolare le procedure per la richiesta di asilo. Non pensavamo che il governo procedesse a respingere tutte le persone, incluse donne incinte e bambini». A riguardo Gebert riporta la storia di «una donna incinta di circa tre mesi proveniente dal Congo. Le guardie di confine non le credevano, la gravidanza non era molto visibile, L’hanno gettata al di là della rete del confine come un sacco di patate, ha sbattuto violentemente in terra e ha perso il bambino. Ci sono molte storie così, potrei continuare a lungo».
Luce verde
Le 14 associazioni del network Grupa Granica da agosto stanno lavorando con la popolazione locale, attraverso degli education teams, villaggio per villaggio, spiegando cosa significa essere un rifugiato, quali sono i diritti, raccontando dei paesi di provenienza e ricordando che aiutare le persone con cibo e acqua è legale.
«All’inizio del nostro lavoro di sensibilizzazione abbiamo avuto diverse reazioni differenti, anche negative. Ora invece molte persone ci contattano perché vogliono aiutare. È incredibile quello che la popolazione locale vicino al confine sta facendo, perché loro non hanno scelto di ritrovarsi in questa situazione. Una persona che abita nella zona di confine – dice Gebert – mi ha riferito che si sente come se si trovasse nello scenario della Seconda guerra mondiale, quando le persone nascondevano gli ebrei dai nazisti. Vivono con 20 mila militari schierati nelle aree di confine. Oltre a polizia e guardie di confine, ci sono elicotteri che sorvegliano i cieli e camion militari nelle strade. Molte abitanti stanno espressamente dichiarando il loro supporto ai migranti, mentre all’inizio c’era molta più paura. Ho parlato con una donna che lasciava una pentola con della zuppa calda ai margini della foresta, ma lo faceva di sera, per non essere vista dai vicini». Sta prendendo piede nelle case di confine anche la pratica di lasciare una luce verde accesa per indicare ai migranti che in quella abitazione possono chiedere aiuto e assistenza.
Libertà di stampa violata
Intanto si fa sempre più pesante la situazione per i giornalisti in Polonia. Un duro comunicato è stato rilasciato dal Media Freedom Rapid Response (Mfrr), progetto coordinato da una serie di organizzazioni che si occupano di monitorare e reagire alle violazioni della libertà di stampa e dei media negli Stati membri dell’Ue e nei Paesi candidati. L’appello al Governo polacco è chiaro: rispettare e facilitare il libero flusso di informazioni consentendo ai giornalisti l’accesso al confine con la Bielorussia per riferire sulla situazione umanitaria. «Le restrizioni sproporzionate hanno gravemente limitato la capacità dei giornalisti e delle organizzazioni dei media polacchi e di tutto il mondo di coprire questa terribile situazione dei diritti umani e garantire un’adeguata protezione a coloro che sono bloccati in condizioni disumane».
«Lo stato di emergenza – si legge nel comunicato – si traduce anche nella criminalizzazione dei giornalisti che cercano di riferire su una questione di rilevante interesse pubblico. Tali restrizioni alla libertà dei media all’interno di uno stato membro dell’Ue non hanno precedenti».
Il Media Freedom Rapid Response denuncia che «nell’ultima settimana, anche i giornalisti che operano fuori dalla zona soggetta a restrizioni hanno dovuto affrontare detenzioni arbitrarie e intimidazioni da parte della polizia e del personale militare».
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