«Orientamento, formazione e politiche attive» e «rafforzamento dei servizi per la conciliazione vita-lavoro e del welfare nella contrattazione e incentivazione del welfare nella contrattazione. Questi, secondo noi, sono gli ambiti di azione che permetterebbero di avere una svolta necessaria rispetto anche all’occupazione. Considerato il calo demografico che abbiamo, e con cui continueremo ad avere a che fare, ci sarà sempre maggiore necessità di nuove competenze e anche di riqualificazione professionale». Queste le proposte avanzate da Mattia Pirulli, segretario confederale della Cisl con delega alle Politiche del mercato del lavoro, commentando i dati relativi a lavoro e conciliazione dei tempi di vita contenuti nel Rapporto Bes 2023 diffuso dall’Istat. Numeri che vedono l’Italia in forte ritardo rispetto al resto dell’Ue.
«Donne e giovani, si può fare di più»
Rispetto al tasso di occupazione italiano di 9,1 punti percentuali più basso di quello medio europeo (75,4%), «si potrebbe fare molto di più per l’occupabilità femminile e giovanile. Quello femminile è un tasso sicuramente in crescita negli ultimi mesi, in particolare nell’ultimo anno e mezzo, e addirittura abbiamo raggiunto il record storico di occupazione femminile, però è ancora molto basso ed è un gap che ancora paghiamo. Quindi si può ancora fare molto, così come per i giovani, il cui tasso di occupazione è in crescita, ma è ancora troppo basso».
Donne e giovani, per Pirulli, costituiscono «un bacino con il quale si potrebbero fare moltissimo, in particolare su tutto il tema del mis-matching (la mancata corrispondenza tra le qualifiche possedute dai lavoratori e quelle richieste dal mercato, ndr), con azioni mirate che abbiano la capacità di qualificare o riqualificare rispetto alle competenze. L’inoccupazione delle donne spesso coincide con un altro dato: sono a bassa specializzazione nelle materie STEM, che sono molto richieste dal mercato. Per questo è fondamentale l’orientamento».
«Conciliare con la famiglia»
Il sindacalista affronta poi il tema del «rafforzamento dei servizi per la conciliazione vita-lavoro: non vuol dire pensare a conciliare il lavoro delle donne, ma conciliare il lavoro delle famiglie, perché il carico familiare ormai non è solo delle donne, ma è in capo al nucleo familiare». Per cui, «se si creano servizi, non lo si sta facendo per le donne, lo si sta facendo per il nucleo familiare, che poi ripartisce al suo interno incarichi ed esigenze familiari».
Part-time non voluto
Certo, le donne sono quelle che maggiormente subiscono l’attuale situazione. E questo potrebbe spiegare un secondo dato diffuso dall’Istat: la percentuale di persone in part-time involontario (10,2% nel 2022), nonostante sia in calo da quattro anni, è risultata quasi il triplo della media dei 27 Paesi Ue (3,6%). Pirulli ricorda che «il 31,7% di donne sono a part-time contro il 7% degli uomini. E se è vero che non sempre il part-time viene effettuato dalle donne involontariamente, la percentuale dice di un problema di conciliazione vita-lavoro». Più in generale, «c’è sicuramente una staffetta di lavoratori che subiscono un part-time involontario, quindi costretti dall’azienda ad accettarlo o per il tipo di lavorazione – mense scolastiche, terziario… – oppure perché così si nasconde un po’ di lavoro grigio».
Pirulli evidenzia poi come «risultano in leggera crescita i salari. Questo è dovuto sicuramente al taglio del cuneo fiscale che è stato mantenuto anche per il 2023 e il 2024, ma soprattutto dall’accelerata che hanno avuto i rinnovi dei contratti collettivi nazionali che in tanti accordi stanno prevedendo anche il recupero inflazionistico. Credo che questo sia un fattore che sta portando anche a un miglioramento per via di un aumento delle retribuzioni».