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Speciale

La guerra in Europa

Sirio 03 - 09 marzo 2025
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Reportage

Kharkiv, la città che di notte si spegne. «Siamo un popolo coraggioso, resisteremo»

Mentre si sentono esplosioni a distanza, Irina, Diana, Ksenia e Tamara raccontano come si vive in una delle regioni dell’Ucraina più vicina ai luoghi del fronte. Dove si combatte. Di notte e di giorno. «È difficile muoversi, a causa degli allarmi. Difficile uscire di casa, andare a fare spese nei negozi. Temo che sarà ancora lunga. Ma siamo un popolo coraggioso. Resisteremo».

M. Chiara BIAGIONIAgenSir

3 Marzo 2025
(Foto Chiesa greco-cattolica ucraina)

Sono le 21 e la città di Kharkiv è deserta. La gente scesa dal treno che arriva da Kyiv, si sbriga a tornare a casa. La stazione è un brulicare di macchine. Il coprifuoco scatta alle 23 per finire alle 5 di mattina. Ma sono gli allarmi delle app a suonare. Non c’è tempo da perdere. Solo qualche metro più in là dalla piazza della stazione e la città sprofonda nella solitudine. Le tenui luci dei lampioni rischiarano le strade. Ma anche quelli tra poco si spegneranno. Si risparmia su tutto, anche sulla luce.

Mentre scriviamo, si sente un’esplosione. Un tonfo che rimbomba nell’aria. La gente è abituata. D’altronde Kharkiv si trova in una delle regioni dell’Ucraina più vicina ai luoghi del fronte. Dove si combatte. Di notte e di giorno. La città di Vovchansk dista da qui 70 chilometri; Kupiansk 120 chilometri e Liptzi solo 30 chilometri. Viene raccomandato ai visitatori di avere sempre con sé un documento di identità da mostrare in caso di controlli. Sono disseminati in città posti di blocco dove fanno verifiche a tappeto. Si teme la presenza di sabotatori che “sicuramente ci sono”.

Nonostante tutto, la vita a Kharkiv continua. La metropolitana – 3 linee e 30 stazioni – funziona e il trasporto pubblico è gratuito fin dall’inizio della guerra. Kharkiv, prima dell’invasione russa su vasta scala, era una città giovane. Un rinomato polo universitario che contava 200 mila studenti. Vi abitava un milione e mezzo di persone. Oggi di abitanti ne conta un milione ma solo perché sono arrivate in città dai villaggi limitrofi 400 mila persone in fuga da combattimenti e distruzione. Praticamente, “sfollati interni”.

Chi ha potuto, è andato via. La vita qui è difficile. Gli allarmi suonano in continuazione. Si sentono a distanza delle esplosioni. I droni colpiscono “di giorno e di notte”. In giro si vedono per lo più donne. «Gli uomini o sono sul fronte – spiega Irina che di professione è neurologa – o rimane in casa, per timore di essere preso per strada e portato via».

Tutte le strutture didattiche hanno chiuso così come teatri e luoghi pubblici di incontro non sono più aperti al pubblico. La vita sociale e culturale viaggia online. È Diana,14 anni, a raccontarlo. È la prima cosa che dice per far capire come i ragazzi vivono qui, a pochi chilometri dal fronte. «La cosa che più pesa della didattica online, è che si fa fatica a vedere i compagni di scuola e gli amici».

Molti di loro sono andati via, chi in altre città del paese, chi addirittura fuori. Chi resta, sconta la solitudine. «Alla guerra ci siamo abituati. E’ più difficile accettare i piccoli cambiamenti della vita di tutti i giorni». Accanto a lei c’è Ksenia, 14 anni. È appena tornata da Kyiv dove ha partecipato ed ha vinto ad una competizione di “pole dance”. Mostra con orgoglio il video della gara e gli occhi le si illuminano. Come è vivere in guerra? «È diventato tutto più complicato. È difficile muoversi, a causa degli allarmi. Difficile uscire di casa, andare a fare spese nei negozi. E se gli allarmi suonano e le esplosioni sono così forti da far tremare le finestre, “l’importante è mantenere la calma». La speranza qui si esprime con pochissime parole: «che la guerra finisca presto e la vita torni semplicemente come prima». 

Tamara di anni ne ha 17. Torna da una settimana di Erasmus in Slovenia. Studia all’università di Kharkiv sociologia della comunicazione. Anche qui, le lezioni sono online. Gli studenti però hanno creato un “Council event”, uno spazio dove è possibile incontrarsi per programmare eventi e progetti. Dal teatro ad iniziative di solidarietà. «Aiutare chi è in difficoltà, conoscersi, potersi esprimere, fare amicizia sono tutte cose che ci aiutano ad andare avanti». Finirà presto la guerra? «Purtroppo non credo», risponde Tamara. Gli occhi le si riempiono di lacrime e aggiunge: «Temo che sarà ancora lunga. Ma siamo un popolo coraggioso. Resisteremo».