Intervista
«Israeliani e palestinesi, un diritto non è superiore all’altro»
Il card. Fernando Filoni, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, esprime la sua preoccupazione per la guerra in corso tra Israele e Hamas
di Daniele ROCCHI Agensir
2 Novembre 2023«In questo momento, non si può pensare che Israele non abbia il diritto di vivere, di esistere e di stare. Lo stesso vale per il popolo palestinese. Sono due diritti e uno non è superiore all’altro. Se non superiamo questa divisione è difficile venire fuori dall’attuale situazione dove si vive drammaticamente».
Così il cardinale Fernando Filoni, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme (30 mila tra Cavalieri e Dame, sparsi in 64 Luogotenenze di 40 paesi, ndr), è intervenuto sulla guerra tra Israele e Hamas, a margine della presentazione della Consulta 2023 dell’Ordine, che si svolgerà a Roma dal 6 al 9 novembre sul tema della formazione. «Se non superiamo questa visione di contrasto e non rispettiamo i diritti di tutti, le lotte continueranno – ha aggiunto -. Noi abbiamo questa missione per la pace - e il Papa rinnova continuamente il suo appello -, che richiede dialogo e rispetto per i diritti».
Eminenza, si aspettava questa recrudescenza del conflitto israelo-palestinese che sembrava sepolto nelle agende delle cancellerie e negli impegni diplomatici della Comunità internazionale?
Questo purtroppo è un conflitto che periodicamente si ravviva. Tuttavia, decisamente non me lo aspettavo in questa forma così virulenta e drammatica. La diversità fra ciò a cui eravamo purtroppo abituati finora e quello a cui abbiamo assistito in questi ultimi giorni è che in passato si trattava di azioni ad intermittenza, ora siamo in una guerra vera e propria. Lei parla di un conflitto che sembrava “sepolto nelle agende delle cancellerie” e questa è proprio una causa profonda di questa situazione: tanto tempo è passato senza vere soluzioni e ciò ha portato ad un’esplosione così violenta.
Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, in una lettera ai fedeli della diocesi descrive questo periodo come «uno dei più difficili e dolorosi della nostra storia recente» e il massacro dei civili sia israeliani sia palestinesi lo sta a dimostrare… Come è stato possibile arrivare a tanto?
Il Patriarca ha perfettamente ragione. Si tratta di un conflitto tra i più difficili e dolorosi della storia recente della Terra Santa. Com’è stato possibile arrivare a tanto? Quando in un vulcano si accumula una grande energia, l’eruzione è incontrollabile; prima o poi esplode e così è successo per il conflitto israelo-palestinese da entrambe le parti. La troppa rabbia, le ingiustizie, le sofferenze, le provocazioni, le repressioni, la mancanza di libertà spiegano come sia stato purtroppo possibile arrivare fino a tanto.
Sono tragedie che la Chiesa ha condannato senza riserve. Ma non possiamo fermarci alla condanna. Qual è la priorità da perseguire? Forse una tregua? Fare fronte all’emergenza umanitaria nella Striscia?
Denunciare il male, le ingiustizie e la sofferenza è bene ma risolve poco. Non basta indicare la malattia e non intervenire con la medicina. A mio avviso, in questo momento ci sono due priorità da perseguire per permettere ad una tregua di realizzarsi agendo a livello umanitario e porre le basi per una futura soluzione. Da parte di Hamas la liberazione dei prigionieri e il riconoscimento del diritto di Israele all’esistenza. Da parte di Israele, il riconoscimento pratico ad uno stato Palestinese di esistere ed operare e il rilascio di prigionieri palestinesi. So bene quanto possa essere difficile ma questa potrebbe essere una maniera non solo per affrontare l’emergenza immediata ma anche di aprire una prospettiva nuova, senza cadere nel déjà vu che purtroppo non ha portato frutti.
Come fermare allora questa guerra?
Avendo vissuto vari anni in quello scacchiere (Iran, Iraq, Giordania, mentre ora mi occupo di Terra Santa), la guerra va vinta togliendo le cause e facendo prevalere il senso della ragione e dei valori umani che per il credente hanno radice in Dio.
Sono oltre 200 gli ostaggi in mano ad Hamas: si è parlato molto di una mediazione della Chiesa per la loro liberazione. La Chiesa locale ha nella sua storia la capacità di dialogare con chiunque… anche con Hamas?
Sì, se esiste buona volontà da parte degli interlocutori. Ricordo quando già Paolo VI, in un momento estremamente difficile in cui il terrorismo internazionale e nazionale imperversava, volle proporre se stesso in cambio delle vittime e dei prigionieri. Questa attitudine è da sempre e sempre presente nella Chiesa… a titolo d’esempio ricordo Padre Massimiliano Kolbe. Anche oggi, il Patriarca Pizzaballa, con grande sensibilità, si è proposto in scambio per la liberazione degli ostaggi. Non dobbiamo inoltre dimenticare che la Chiesa locale ha una lunga storia in quella Terra giacché i cristiani vivono e sono da entrambe le parti: una piccola ma importante presenza.
In mezzo a tanta violenza non passa inosservata la presenza della piccola comunità cristiana di Gaza, che nonostante abbia subito perdite umane nel bombardamento della chiesa greco-ortodossa di san Porfirio, ha aperto le porte agli sfollati ed è impegnata in una preghiera incessante per la pace. Il card. Pizzaballa parla dei cristiani gazawi così: «Il loro dolore è grande, eppure, ogni giorno di più mi rendo conto che loro sono in pace. Spaventati, scossi, sconvolti, ma con la pace nel cuore». Che significato ha questa minuscola presenza cristiana a Gaza e in un contesto di guerra come quello attuale?
La presenza dei cristiani a Gaza è antica e ha convissuto con tante e difficili situazioni: la loro è una condivisione drammatica con l’intera popolazione. Tale attitudine non viene meno oggi. Per questo apprezzo quando il cardinale Pizzaballa parla di questa piccola comunità come di una presenza nella sofferenza ma anche come presenza di pace. Sosteniamo questa popolazione con la preghiera, l’affetto e l’incoraggiamento perché possa sentire il sostegno spirituale e morale di tutta la comunità cattolica cristiana. Questi furono gli stessi sentimenti che ebbi modo di condividere con la comunità cristiana in Iraq durante la guerra. Mi viene sempre in mente quello che disse un tassista iracheno alle suore che vivevano con me: “Per favore, non andate via. Voi siete quella parte di umanità che ci aiuta a vivere nella moderazione”.
Crede ancora nella soluzione Due Popoli Due Stati?
Si tratta di una questione estremamente delicata che si prepara da anni e che finora non ha avuto un unanime apprezzamento da tutti. Ma questa soluzione non può essere raggiunta se non con il consenso di entrambe le parti. Noi sosteniamo questa scelta se anche Israele e Palestina convergono e questo nel rispetto delle loro identità, della loro storia, dello spazio in cui vivono. In questo la Santa Sede mantiene la sua posizione.
Quali azioni sta pensando l’Ordine del Santo Sepolcro per sostenere il Patriarcato latino e la comunità cristiana locale?
L’Ordine del Santo Sepolcro lavora da sempre a fianco del Patriarcato Latino di Gerusalemme – e altre realtà ecclesiali della zona – sostenendo le necessità che il Patriarcato indica. In un momento come questo, i Membri dell’Ordine chiedono come manifestare in modo ulteriore la propria vicinanza e solidarietà verso le popolazioni colpite dal conflitto in atto. L’Ordine ha un fondo di solidarietà sul quale stanno già convergendo i contributi di coloro che desiderano manifestare la propria vicinanza umana alla popolazione sofferente attraverso l’azione del Patriarcato Latino di Gerusalemme. Per noi la Terra Santa rimane luogo di incontro.